Biografia

La mia biografia

Una vita vissuta per il carcere

di Gerardo Canoro

Le esperienze vissute in tanti istituti penitenziari, i vari incarichi ministeriali, le visite ispettive in numerosi carceri, i riconoscimenti e gli elogi, le docenze ai corsi di formazione, la pubblicazione di tre testi diventati famosi in tutti i carceri, mi hanno spronato a raccontare la mia vita “carceraria” durata ben 42 anni.

Il racconto è volto innanzitutto a quei colleghi che sono interessati ad acquisire le esperienze da me vissute e che potranno essere utili per il loro lavoro.

Ma oltre alle esperienze avute durante le ispezioni, incarichi, docenze ecc., cito anche la vita familiare che aveva intrecci con l’ambiente carcerario, avendo abitato sempre negli alloggi demaniali che facevano parte del fabbricato carcerario. E per tale motivo il titolo: una vita vissuta per il carcere.

Il racconto inizia con l’arrivo nella sede di prima nomina, un impatto allucinante che mi fece acquisire esperienze che mi sono servite per il futuro.

Prosegue il racconto con i trasferimenti in altre sedi fino a stabilizzarmi a Lucca ove ebbi i riconoscimenti e incarichi che mi hanno dato tante soddisfazioni.

Al termine riporto il mio curriculum nel quale sono indicate tutte le mie tappe della lunga carriera penitenziaria.




L’inizio della carriera di ragioniere del carcere

Nel mese di novembre di tanti anni fa mi recai al Ministero della giustizia per sostenere le prove orali per il concorso di vice ragioniere nelle carceri e riuscii a entrare nei vincitori per pochi centesimi, ma dovetti aspettare fino al mese di luglio dell’anno successivo quando mi chiamarono per consegnarmi il foglio di presentazione alla casa di lavoro all’aperto di Mamone, in provincia di Nuoro.

Che brutto nome, mi chiesi, ma che posto sarà per chiamarsi così. E dove si trovava ? In sardegna, mi dissero, su una montagna sperduta. Ed ero stato fortunato, perché gli altri vincitori del concorso erano stati assegnati a Pianosa, Asinara, Capraia, Gorgona, tutte colonie agricole su isole sperdute. Mamone invece era nel centro della sardegna, su un altopiano a 800 metri di altezza.

Dalle cartine geografiche non trovavo la località. Consultai l’orario ferroviario e così accertai che dovevo scendere alla stazione di Buddusò e da lì proseguire per Mamone a circa 25 Km. Allora inviai un telegramma alla Direzione di Mamone per avvisare che sarei arrivato il giorno 31 luglio alle ore 10 alla predetta stazione. Non arrivò nessuna conferma, ma partii lo stesso il 30 luglio per Civitavecchia, per imbarcarmi per la sardegna. Lasciai in piena estate i parenti, gli amici e la mia città S.Maria capua vetere e la mia fidanzata.

La mattina presto sbarcai a Olbia e, scendendo dalla nave, dall’artoparlante del porto si sentì: si avvisa il rag. Canoro di presentarsi alla biglietteria. Ma chi mi cerca ? Chi sa il mio nome in sardegna ?

Era il brigadiere del carcere di Mamone che era venuto a prendermi con una “fiat campagnola”. Si presentò e mi fece salire sull’automezzo per accompagnarmi alla sede di servizio. Ma sarei venuto con il treno, gli dissi. Sarebbe arrivato fra due giorni, mi rispose. E così ci incamminammo per raggiungere il carcere.

Che viaggio ! circa 80 km. Tutte curve, paesaggio selvaggio, ogni 20 km. un paesetto: Olbia, Monti, Ala dei sardi, Buddusò e poi finalmente Mamone. Gli ultimi 10 km. una strada sterrata a 800 metri di altitudine !.

Ma dove sono andato a finire, mi chiesi. Meno male che il tempo era bello (era il 31 luglio) e rendeva il paesaggio meraviglioso ma selvaggio, con una aria pulita di alta montagna.

Andammo in Direzione, dove ci aspettava il Direttore che mi presentò a tutti, ai miei colleghi il rag. capo Dessì e il contabile Nocera.

Mi fece leggere la formula del giuramento e così fui assunto in servizio e i miei colleghi mi presentarono gli impiegati degli uffici: tutti agenti e addirittura detenuti che erano addetti come scrivani !

Mi sembrava di essere in un mondo sconosciuto, non sapevo nulla della nuova vita che dovevo affrontare e non ero felice, ma mi sentivo sicuro di me.

Mi portarono nell’alloggio che mi spettava. Almeno non pagavo l’affitto perché nelle colonie agricole l’alloggio spetta di diritto gratuitamente.

Incominciai la mia giornata di lavoro a fianco dei miei colleghi, i quali molto indaffarati non mi spiegavano quasi niente. Si limitavano solo a darmi delle carte, documenti e accennavano appena a cosa dovevo fare, per il resto dovevo arrangiarmi e non nascondo che trovai delle difficoltà perché non sapevo nulla della contabilità carceraria.

Un giorno mi diedero una montagna di fatture dicendomi di fare gli ordinativi e superficialmente mi spiegarono di cosa si trattasse e come si compilavano a macchina. Ne sbagliai tanti, era la prima volta, non sapevo come si intestasse il nome del creditore, ma alla fine li feci tutti.

Intanto girovagavo tra gli uffici e cercavo di apprendere qualcosa, chiedendo anche ai detenuti che erano ormai degli esperti. Ma senza una direttiva e senza sapere come era organizzato il servizio cassa, del materiale e della contabilità generale, capivo ben poco, né potevo comprendere i collegamenti tra i vari servizi se nessuno me lo diceva.

Spesso i colleghi non c’erano e io giravo negli uffici non sapendo cosa fare perché nessuno mi affidava qualcosa da fare.

Ciò mi fece giudicare male dal direttore il quale si lamentò, dietro le mie spalle, affermando che non facevo niente e giravo sempre. Me lo disse il collega contabile e io mi preoccupai, chiedendo di darmi qualcosa: ma non abbiamo tempo, il lavoro è tanto.

Ma un pò alla volta incominciò a insegnarmi le operazioni di cassa, perché il ragioniere capo doveva andare via e lui lo doveva sostituire passandomi la cassa.

Ma nella vita privata ero purtroppo un solitario, la popolazione era costituita da agenti con le loro famiglie, detenuti in giro dappertutto (era una colonia agricola dove i detenuti che lavorano hanno una libertà di movimento).

L’unico passatempo era lo spaccio dove la sera ci raccoglievamo tutti (era l’unico locale aperto al pubblico). C’era il bigliardo, si giocava a carte e così ebbi modo di fare amicizia con gli agenti scapoli di origine napoletana, perché quelli sardi non facevano altro che bere.

Gli unici impiegati civili: il direttore e i colleghi non si vedevano mai e io stavo sempre in compagnia con tali agenti.

Intanto, durante il lavoro mi portavano in giro nelle varie diramazioni, distanti alcuni Km. Ed ebbi modo di vedere i paesaggi selvaggi del territorio, a volte mi spaventavo, il primo paese era distante 23 Km. E si poteva raggiungere soltanto con l’auto che io non possedevo ancora.

Mi sentivo disperato, che vita era quella ? In ufficio tutto il giorno fino alle sei di sera, poi a cena alla mensa e dopo nello spaccio con gli agenti a fare una partita a bigliardo.

Meno male feci amicizia con l’autista del direttore, era un napoletano e la domenica mi portava con lui al mare e mi faceva vedere i posti meravigliosi della sardegna.

Nel mese di settembre (il 12) fu organizzata la rituale festa del Corpo degli agenti di custodia. Era la prima per me, ne avrei vissute ben 42 !

Dovetti mettermi giacca e cravatta perché intervenivano autorità civili e militari.

La cerimonia in chiesa, il discorso del Direttore, i saluti alle autorità e grande pranzo, con i soliti piatti sardi.

Dopo il pranzo, gli agenti sardi ubriachi e io ovviamente stavo con gli agenti napoletani. Il mio collega con i sardi a bere con loro e ciò non mi piaceva, per tale motivo non strinsi amicizia con lui. Soltanto rapporti formali di lavoro.

Finalmente dopo un mese arrivò l’avviso di partecipare agli esami scritti per un concorso nelle finanze. Potevo partecipare e quindi potevo approfittare di ritornare al mio paese dai miei.

Il Direttore mi concesse di partire dicendomi che era un mio diritto, ma mi accorsi che non era contento perché avevo dimostrato di non essere attaccato all’amministrazione e che volevo cambiare. Ritornai al mio paese e riabbracciai parenti e amici, la mia fidanzata, ritornai nel mio mondo, almeno per tre giorni, ma il ritorno fu molto triste. Ricominciai la vita solitaria in un posto sperduto, senza un paese, un corso dove passeggiare, un cinema, soltanto lo spaccio dove vedevo sempre le stesse persone E la disperazione incominciò ad assalirmi.

Ma i rapporti con gli agenti sardi non erano buoni perché io preferivo stare con quelli napoletani, mi trovavo meglio, quelli sardi bevevano e si ubriacavano sempre.

E una sera allo spaccio un agente sardo era tanto ubriaco e incominciò a insultarmi in dialetto. Io non capii nulla e non lo risposi, mantenni la calma anche perché non lo capivo. Questi allora incominciò a buttare nel fuoco del caminetto i proiettili della sua pistola, i quali scoppiettarono e tutti a scappare. L’indomani nessuno sapeva nulla.

Il mio amico agente napoletano dell’ufficio matricola mi consigliò di fare rapporto al direttore e così, con il suo aiuto, scrissi il rapporto sull’apposito registro.

Successe il finimondo: il Direttore convocò subito il consiglio di disciplina, di cui faceva parte il mio collega Nocera. L’agente fu ovviamente punito e trasferito immediatamente all’Asinara. La sera ebbi paura, ero solo nella sala convegno e tutti i sardi mi guardavano minacciosamente. Ma vidi il mio collega che parlava con loro e sicuramente lui diceva di non farmi niente di male. Una brutta esperienza, mi sentii perduto, non avevo nessuna protezione ed ebbi veramente paura perché sarei stato picchiato sicuramente.

Ecco alcune foto scattate a mamone nel primo anno di servizio: nella prima sto con il Direttore, l’agronomo e il brigadiere che lavorava in ufficio, nella seconda sto con la mia prima macchina comprata dal direttore, nella terza sto scendendo dalla Direzione e nella quarta è finita una bella nevicata e nello sfondo l’abitato di mamone sommerso nella neve.




Nella foto seguente si vede il centro abitato di mamone, con lo stabilimento che ospitava i detenuti, la Direzione, la chiesa e gli alloggi demaniali. Intorno solo terreni selvaggi e disabitati in un raggio di 25 km. !

Il primo incarico di contabile

Nel lavoro peggio, non sapevo cosa fare. Qualcosa mi dava il brigadiere che stava con me nell’ufficio cassa, che era tenuta dal collega Nocera, il quale stava però nell’ufficio del ragionere capo.

Ma un giorno arrivò una ispezione contabile dall’Ispettorato di Cagliari. Venne l’ispettore distrettuale e fece la verifica di cassa al collega contabile, alla presenza del Direttore. Era la prima volta che assistetti ad una verifica della cassa, non sapevo cosa fare e il Direttore, vedendomi impacciato, mormorò dicendomi che io non mi muovevo per aiutare nelle operazioni. Non lo risposi, perché non potevo dirgli che il mio collega non mi aveva insegnato nulla e che non sapevo cosa fare.

La verifica ebbe esito positivo e dopo un pò il mio collega disse all’ispettore che doveva aggiornare le sue contabilità arretrate da anni per cui era meglio che prendessi io la cassa, così lui avrebbe avuto più tempo per dedicarsi a smaltire gli arretrati.

L’ispettore acconsentì il cambio e io mi trovai a essere contabile di cassa dopo appena due mesi, senza esperienza ! !.

Anzi, automaticamente ero anche contabile del materiale perché in quell’epoca il contabile era responsabile sia della cassa che del materiale.

Non avevo ancora sei mesi di servizio e non avevo ancora terminato il periodo di prova, quindi l’incarico era di ritenersi illegittimo, ma in quei tempi era una prassi causata anche dalla carenza dei ragionieri.

Ma per mia fortuna cambiò il Direttore: venne Caccamo, un ragioniere capo del Ministero con le funzioni di direttore e grazie a lui incominciai a imparare qualcosa. Mi insegnò tante cose e poi fui guidato dai collaboratori degli uffici: tutti brigadieri e appuntati esperti e così un pò alla volta incominciai a conoscere la contabilità.

Migliorarono anche i rapporti con i sardi, perché con la partenza di quello cui feci rapporto, ero più rispettato e temuto.

Incominciò l’inverno e non si poteva uscire per la neve e le serate erano tristi. Che vita brutta, anzi bruttissima. Mi allietava un pò la compagnia con gli agenti napoletani, con i quali la sera nella sala convegno si stava insieme.

Arrivò Natale e io chiesi qualche giorno di ferie, non tanti perchè avevo la cassa e non potevo assentarmi per tanti giorni.

Cosa assurda (ricordandola oggi) ma normale in quei tempi: lasciai le chiavi della cassa al mio collega, senza fare la verifica della cassa. Lui non mi disse di fare la chiusura, né io la feci per un gesto di fiducia verso di lui. Io non sapevo che un contabile che si assentasse doveva effettuare la consegna della cassa, ma nessuno me lo diceva, come facevo a saperlo ? Dopo negli anni ho capito che era una grave irregolarità.

E così ritornai al mio paese a rivedere i miei familiari e gli amici. Ma mi lasciai con la fidanzata perché la lontananza e le visite rarissime affievolirono il nostro rapporto e così dopo Natale ripartii per la sardegna perché il 27 dovevo provvedere a pagare gli stipendi al personale.

Un ritorno tristissimo, sbarcai a Olbia, presi il soluto autobus fino a Bitti, un viaggio brutto perché c’era la neve. Da Bitti poi il solito pulmino guidato dal mio amico napoletano, che mi portò a mamone. E così ripresi il lavoro. Il collega mi ridiede la chiavi della cassa, senza fare nessuna verifica, mi disse soltanto i movimenti che aveva fatto. Altri tempi allora.

Insieme all’agente dell’ufficio stipendi imbustammo il denaro contante (in quell’epoca non esistevano gli accreditamenti sul conto). Pagai gli stipendi a ogni agente e così ebbi modo di conoscere tutti.

Passai l’ultimo dell’anno a mamone, il primo lontano dalla mia famiglia, dalla mia città. Si sentì qualche botto e la sala convegno piena di agenti sardi tutti a bere e ubriachi. Che tristezza, ero solo per l’ultimo dell’anno dopo tanti capodanni passati con gli amici al mio paese !.

La mia futura moglie e l’elezione a consigliere comunale

L’indomani (Capodanno) andai ugualmente in ufficio. Sì in ufficio, sia perché non sapevo cosa fare e sia perchè con il Direttore nuovo si lavorava sempre, anche le domeniche, ma solo la mattina. Ma tanto dove andavo, allo spaccio solo o a casa ? non avevo neanche il televisore.

Quindi andavo con piacere in ufficio la domenica mattina e nei giorni festivi, anche perché stavo con il Direttore e altri collaboratori e mi sentivo bene in compagnia con loro. Dopo si chiudeva la Direzione e si andava tutti alla sala convegno a prendere un aperitivo. Dopo i saluti mi incamminavo verso la mensa agenti, da solo, perché sia il Direttore che il rag. capo avevano famiglia e, beati loro, mangiavano a casa loro, mentre io solo nella mensa insieme a tanti agenti che urlavano.

Nel pomeriggio niente, in compagnia con qualche agente napoletano. Non si usciva perché non avevamo le macchine e poi con la neve l’unica strada (non asfaltata) era impraticabile. Che tristezza, meno male ascoltavo nella sala convegno le partite di calcio nel pomeriggio e poi vedevo dalla televisione le cronache sportive. La sera nuovamente a mensa e poi nella sala convegno, che ormai era diventata la mia seconda casa. Sul tardi salivo a casa per andare a dormire, solo e triste.

Ma tale stato di solitudine mi spronava a stare sempre in ufficio e ad appassionarmi al lavoro. Almeno in Direzione parlavo con i collaboratori e così imparai un pò alla volta la contabilità carceraria.

Un giorno il Direttore mi affidò di aggiornare la gestione dei “Tabacchi e valori bollati”, i cui rendiconti non erano rassegnati da ben sei anni. Non sapevo farli, vidi i precedenti, su consiglio del collega e così un pò alla volta capii il meccanismo e in poco tempo compilai tutti i rendiconti. Ma risultarono degli ammanchi di sigarette e lo feci presente al Direttore ed al rag. Capo, i quali intimarono l’agente addetto a rimborsare all’amministrazione.

Questi un giorno mi affrontò, era un sardo e ovviamente mezzo ubriaco, dicendomi che non era vero che c’erano gli ammanchi e che aveva dei dubbi in merito. Ciò mi fece un pò arrabbiare perché lui mi fece capire che io avevo sbagliato i conti. Ma io ero sicuro, avevo capito i meccanismi contabili e cercai di spiegarglieli, ma lui non poteva capire. Non potevo spiegargli che nei libri cassa la differenza contabile era superiore all’importo delle rimanenze dei tabacchi. Alla fine su reiterati inviti del Direttore, ammise che spesso faceva fumare i detenuti addetti al servizio per spronarli a lavorare e le sigarette le prendeva dal deposito e così si convinse che doveva rimborsare.

Altro episodio da raccontare era quello dei viaggi a Nuoro per andare a prelevare i contanti per gli stipendi alla banca d’Italia. Io ero contabile e il compito era il mio, purtroppo.

Si partiva la mattina con tre agenti armati di mitra e pistole e da Mamone, Bitti, Orune, Nuoro, si attraversavano strade selvagge frequentate solo da pastori.. Ogni tanto si incontrava una casa cantoniera, con tanti buchi nelle facciate. Chiesi agli agenti cosa fossero quei buchi: sparatorie, ragioniere, conflitti a fuoco. Una grande paura mi assalì, ma dove sono capitato, mi chiesi.

Ma che lavoro è questo. Ero disperato. Ma una grande forza mi diede coraggio: il lavoro d’ufficio che mi piaceva e la prospettiva che un giorno sarei tornato nella mia città vicino ai miei. Insomma, mi piaceva fare il ragioniere del carcere. Dopo il Direttore e il rag. capo ero considerato anche io, tutti mi salutavano con rispetto. Era finito il periodo brutto dei primi mesi, perché con la venuta del Direttore Caccamo i ragionieri erano più rispettati.

Nel lavoro andava tutto bene, facevo tante cose su delega del rag. capo, anche compiti che non spettavano al contabile. Ma in quel tempo io non sapevo cosa mi spettasse fare, quello che mi davano da fare svolgevo con tanta volontà di apprendere. Anche perché il Direttore Caccamo si arrabbiava spesso con me e ciò mi spronava a fare sempre meglio e a imparare, anche per dimostrargli che ero un bravo ragioniere. E infatti, un giorno lui mi confidò che i suoi richiami erano utili per me, giovane inesperto. E aveva ragione.

Feci esperienze uniche, perché essendo una colonia agricola si svolgevano particolari attività e alcuni avvenimenti si verificavano soltanto in quella colonia agricola. Per es. spesso veniva nel mio ufficio cassa un pastore che era entrato nel territorio della colonia con le sue pecore e per disposizione doveva risarcire i danni che avevano provocato le pecore. Il brigadiere di turno me lo portava dentro l’ufficio e sentivo subito un odore di pecora e formaggio e mi trovavo davanti il classico pastore sardo, con stivaloni, pantaloni di velluto e giacca di pelle di pecora: che spettacolo ! al mio paese non avevo mai visto cose del genere. Il pastore arrabbiato mi dava i soldi e io li riscuotevo in cassa, scrivendo la quietanza per lui e l’ordine di riscossione per il Direttore, che mi controllava in tutto. In quel tempo non sapevo che l’ordine di riscossione e di pagamento doveva scriverlo il ragioniere capo, ma questi non lo faceva e mi toccava farlo a me per fare andare avanti il lavoro.

Ancora, spesso quando una pecora dell’amministrazione zoppicava e stava male veniva macellata su ordine del direttore e frequentemente verso l’ora di pranzo mi chiamavano per partecipare, unitamente a quelli della Direzione, a mangiare la pecora appena macellata, bollita con le patate e cipolle, secondo la tradizione sarda. Al mio paese non l’avevo mai mangiata e confesso che mi piaceva tanto, anche perché era cucinata “in modo primitivo”, cioè secondo le usanze dei tempi passati ed era buona, perché tutto era genuino.

E dopo si ritornava in ufficio a lavorare fino a tarda sera. Insomma, si lavorava tutto il giorno, fino a sera e tutte le domeniche mattina (in quel tempo non c’erano i cartellini marcatempo e lo straordinario veniva pagato a forfait).

Ma non avrei nemmeno immaginato che era prossimo l’evento più importante della mia vita: la conoscenza della mia futura moglie.

Infatti, arrivò il periodo di carnevale, neve dappertutto e vedevo tanti agenti che con le macchine andavano via a divertirsi e io rimanevo solo e triste. Ma un giorno i miei amici napoletani, vedendomi solo una domenica pomeriggio mi invitarono per andare con loro a Buddusò, un paese a 25 km., dove c’era la festa di carnevale. Mi dissero che in quel paese le ragazze erano più aperte ed era meglio di Bitti (l’altro paese vicino), ove era pericoloso avvicinare una ragazza !

Per strada il mio amico agente napoletano mi disse che corteggiava una ragazzina che aveva la testa dura, non voleva cedere, era casareccia e io sfrontato gli dissi: fammela conoscere che gli rammollisco la testa (io avevo una lunga esperienza vissuta nel mio paese di origine)

Entrammo nel locale da ballo e c’era tanta gente che ballavano, tante ragazze e finalmente mi trovai a mio agio. Era quasi un anno che non entravo in una sala da ballo, da quando lasciai la mia città.

Il mio amico mi presentò una ragazzina con due amiche: un colpo di fulmine, mi trovai davanti la ragazza che faceva per me, il tipo che mi piaceva. La invitai subito a ballare e io presuntuoso le dissi: sarai la mia fidanzata. E lei rispose dicendomi: e perché sei tanto sicuro ? perché mi piaci tanto e ti voglio con me (sarebbe diventata mia moglie !). Ballavamo sempre e dopo qualche ora uscimmo tutti fuori, le amiche, i miei agenti amici e io a fianco a lei a parlare per conoscerla.

La mia vita cambiò, ero felice ma dovevo dipendere dai miei amici che avevano la macchina e quando erano liberi dal servizio. E perciò decisi di prendermi la patente e avere una macchina per conto mio.

Per fortuna iniziò un corso a mamone e mi iscrissi subito. Le prove di guida le facevo su una fiat campagnola, con a fianco un detenuto ! che mi insegnò a guidare nelle strade più impervie della colonia. Una esperienza unica, penso, imparai a guidare grazie agli insegnamenti di un detenuto !

Superai ottimamente l’esame e il Direttore mi fece i complimenti.

Ma ora dovevo trovare la macchina e fortunatamente il Direttore ne aveva una usata, una vecchia Simca 1000 e me la vendette. Io non ne capivo nulla di macchine, ma era l‘unica disponibile e la comprai subito.

E così ogni domenica uscivo con gli agenti amici e andavo a Buddusò, ove mi aspettava la mia ormai fidanzatina, che si dimostrava sempre disponibile con me. Saliva in macchina con le sue amiche e si andava in giro.

La mia vita cambiò e anche il lavoro ebbe un beneficio, lavoravo con più energia e niente mi faceva più paura, affrontavo le difficoltà con ottimismo e il mio pensiero era rivolto alla sera quando andavo al paese della mia ragazza. Mi portavo con me sempre qualche agente amico per compagnia.

Di sotto riporto una foto della primavera del 70 scattata a Portocervo in costa smeralda. In quei tempi la costa smeralda era deserta, c’erano poche ville e alberghi di lusso.

Il Direttore era più disponibile con me, non si arrabbiava più, anche perché non gli davo occasione. Ormai avevo assunto una padronanza nel lavoro grazie alle sue guide e a quelle del rag. Capo.

Un giorno il Direttore mi chiamò dicendomi che mi aveva candidato alle prossime elezioni comunali, quale rappresentante di Mamone, che era una frazione del Comune di Onanì.

E con mio grande stupore fui eletto consigliere comunale, ma ero nel partito di minoranza. Assistetti allo spoglio e molti votarono me, ma qualcuno mi votò contro, ovviamente era qualche agente sardo.

E così iniziò una nuova esperienza che si mostrò subito allucinante. Infatti, quando andavo alle riunioni del consiglio comunale non capivo nulla ! parlavano tutti in sardo e spesso il sindaco mi spiegava di cosa si trattasse. Una esperienza unica !

Intanto continuavo ad apprendere procedure contabili nuove, alcune uniche trattandosi di una colonia agricola. Infatti, un giorno il Direttore mi chiamò dicendomi: stanotte andiamo in giro per tutte le diramazioni a fare un controllo del bestiame. Ma perché stanotte ? perché di giorno il bestiame è in giro e non possiamo contarlo, lei è contabile e ha il dovere di controllare il materiale che ha in consegna.

Imparai un altro dovere del contabile, nessuno me lo aveva detto, ecco, capii che io ero responsabile di tutto il materiale della colonia agricola che si estendeva per ben 36 mila ettari ! Una cosa pazzesca che non mi spaventava, però, perché c’erano collaboratori bravi che pensavano a tutto, io firmavo solo i registri, i prospetti, anche incoscientemente devo ammettere. Ma come era possibile un controllo di tutto ? impossibile e poi con i verbali di fuori uso si aggiustavano tante cose e perciò ero tranquillo.

Partimmo verso le undici di notte io, il Direttore, l’agronomo e tre collaboratori e ad ogni diramazione io contavo le pecore, le mucche, i maialetti, i cinghiali e annotavo i totali su dei fogli di carta. Una esperienza unica della mia lunga carriera !

E con mia meraviglia l’indomani, controllando i registri d’inventario, mi accorsi che il numero dei capi di bestiame accertato era superiore a quello in inventario. Ma come è possibile, abbiamo più bestiame di quello in carico ? E il Direttore da esperto di colonie agricole mi spiegò che era normale ciò, perché quando avvenivano le nascite i capi diramazione (gli agenti responsabili) registravano un numero minore nei fogli di comunicazione che inviavano in ragioneria ed ecco il trucco. Il bestiame in più quando cresceva veniva poi macellato e mangiato oppure prendeva altre destinazioni private ! E così il Direttore mi fece fare le riprese in carico sugli inventari e tutto si aggiustò.

Fu una esperienza unica, capii i passaggi di categoria del bestiame: il maialino appena nato veniva caricato come “lattonzolo”, quando arrivava a 8 chili, veniva scaricato come lattonzolo e caricato come maialetto, a 30 chili si scaricava come maialetto e si caricava come maiale. Una contabilità unica che soltanto nelle colonie agricole esisteva e io feci esperienza di tale contabilità che mi servì nel futuro quando mi mandarono in trasferta nelle colonie agricole della Toscana (Pianosa e Gorgona).

Ancora, ogni settimana quando macellavano le mucche per distribuire la carne alle famiglie, mi veniva a chiamare in ufficio l’agente addetto al macello e io dovevo subito andare per controllare il peso della carne, peso che veniva registrato nei fogli di comunicazione che inviavano in ragioneria per la registrazione negli inventari. Si scaricava la mucca come capo di bestiame e si caricava la carne come prodotto agricolo. Il quantitativo di carne poi si scaricava come venduto e il relativo importo era registrato nel giornale delle vendite e riscosso ai proventi.

Ma non era soltanto lavoro a mamone, nella piccola e isolata località si svolgeva tutta la vita quotidiana. Si può dire che vivevo nel carcere, perché non era un paese, tutti i fabbricati erano demaniali e appartenevano all’amministrazione. Nei dintorni di mamone, vivevano tanti pastori in ovili primitivi e spesso ci ospitavano perché lavoravamo a “Mamone”, ci offrivano da mangiare cose stupende e cucinate in modo primitivo.

Tali esperienze le ho vissute soltanto in quei posti selvaggi e sperduti in mezzo ai monti a 800 metri sul livello del mare. Il lavoro, invece, nelle carceri delle città è stato “normale”, ovviamente.

Arrivò poi il periodo in cui si svolsero i campionati mondiali di calcio, passavo molto tempo nella sala convegno a vedere le partite insieme agli agenti e ricordo la storica partita con la Germania, disputata dopo mezzanotte.

La sala convegno era affollata, io con i miei agenti napoletani e il mio collega con i suoi agenti sardi, ma quando segnava l’Italia eravamo tutti uniti a fare baldoria, a tal punto che quando finì la partita festeggiammo la grande vittoria, gli agenti sardi, ormai ubriachi, incominciarono a far volare in alto le sedie e io dovetti scansare parecchie sedie che volavano dappertutto. E la baldoria continuò fuori della sala convegno e al banco del bar le birre e il filo di ferro (acquavite sarda) scendevano a fiumi.

L’indomani mi chiamò il Direttore in dialetto siciliano: ma ragioniere Canoro, lo sa che ieri notte alla sala convegno hanno rotto tutte le sedie ? lei come contabile del materiale deve accertare i colpevoli e fare gli addebiti. Direttore, c’era la partita e c’eravamo tutti, anche io e il collega, ora vediamo conteggiamo le sedie rotte e le mettiamo nel verbale di fuori uso. E così si calmò un pò e finì lì.

Andai in ferie in agosto per una quindicina di giorni e quando ritornai trovai la novità che il mio collega Nocera era stato trasferito e che era prossimo a partire.

Incominciai a preoccuparmi perché non si sapeva quando fosse arrivato il suo sostituto e ebbi paura di rimanere solo. Come avrei fatto ? Io sapevo fare soltanto il lavoro di contabile e non quello di ragioniere capo.

Ma il Direttore intimò a Nocera di finire tutti i suoi conti giudiziali, altrimenti non l’avrebbe fatto partire. E questi fino a sera tardi lavorava per quadrare il mod. 76 (il riepilogo delle entrate e delle spese dei detenuti in un mese). Un pò lo aiutavo ma era un lavoro lungo. Infatti, nelle carceri delle città i movimenti del fondo detenuti riguardano soltanto un istituto, ma a Mamone vi erano sette diramazioni e i movimenti riguardavano ben sette istituti che venivano raggruppati nel famoso mod. 76.

Io ci capivo ben poco, perché non avevo ancora fatto personalmente quella contabilità.

Assistevo spesso ai bisticci tra il Direttore e il collega, perché questi voleva portarsi i modelli nel carcere dove era stato trasferito e il Direttore giustamente non voleva.

Poi non so come successe, arrivò l’ordine dal Ministero che il collega doveva partire subito e così giunse il momento dell’addio.

Lui tutto contento, ma io ero disperato. Mi disse: ti passo la stecca, ora ti arrangi come mi arrangiai io all’inizio. Ricordo che mi venne a lacrimare, non sapevo come fare, dovevo portare io avanti l’ufficio ragioneria, senza avere ancora quell’esperienza necessaria per fare il capo. Cosa mi sarebbe successo ? Ero disperato.

Ma i collaboratori erano ottimi: uno provvedeva a tenere il mod. 26 C.G. sotto la guida del Direttore (e come prevede il regolamento), un altro faceva le pratiche degli acquisti per tutta la colonia, i detenuti curavano la contabilità del materiale e io la cassa e le paghe, con un agente.

E andava tutto bene perché il Direttore era esperto e sapeva guidare tutti.

Ma a me portavano a firmare tutto e io firmavo senza sapere cosa firmavo, mi fidavo dei collaboratori, dovevo fidarmi perché non c’era tempo di controllare tutto. E posso dire ora che mi è andata bene, non mi è successo nulla.

A settembre organizzarono la rituale festa del Corpo, la seconda per me e questa volta conoscevo più gente ed ero sempre in compagnia, specialmente con il sindaco di Onanì, che era diventato mio amico perché quando andavo alle riunioni del Consiglio stavo sempre con lui. Era l’unico che parlava in italiano ed era istruito (era insegnante elementare). Gli altri consiglieri, invece, erano tutti pastori che parlavano in sardo !

Passava il tempo e il nuovo ragioniere capo non arrivava. Sentivo il Direttore gridare al telefono con lui che era a Bergamo. Ma finalmente un giorno il Direttore mi annunciò che in giornata sarebbe arrivato il tanto atteso rag. capo.

Lo aspettavamo dalla mattina, ma lui arrivò la sera tardi. Ricordo che c’era una bufera di vento e lui arrivò tutto bagnato. Si chiamava Moscariello, un napoletano di Avellino e veniva dal carcere di Bergamo dove aveva combinato un pò di casino e veniva a Mamone per punizione.

Con lui feci subito amicizia, ci intendevamo, era simpatico e allegro, era bravo e mi aiutava tanto nel lavoro.

E così iniziai finalmente a lavorare bene e con maggiore tranquillità, sotto la guida del Direttore, espertissimo ragioniere del Ministero e del nuovo collega, anche lui esperto.

Intanto, un pomeriggio arrivò improvvisamente l’ispettore distrettuale da Cagliari tutto incazzato: entrò nell’ufficio del Direttore e gli gridò: lei è un ladro.

Sentii tutto dal mio ufficio e mi spaventai. Ma cosa era successo. Ci chiedemmo tutti.

L’ispettore volle vedere tutti i foglioni giornalieri delle vendite dei prodotti di colonia, nei quali c’era anche il nome del Direttore che aveva pagato i prodotti ritirati e così l’ispettore si calmò e chiese addirittura scusa al Direttore, dicendogli che in una lettera anonima lui era accusato di prendere i prodotti di colonia senza pagare.

Ma io mi chiesi: ma come può un ispettore distrettuale accusare un Direttore sulla base di una lettera anonima senza prima accertarsi della fondatezza dell’accusa ?

Un’altra esperienza utile per il futuro della mia carriera.

Arrivò il periodo natalizio e vidi che tutti si davano da fare per organizzare un viaggio a Roma per il trasporto di prodotti di colonia (agnelli, formaggio, carne), da consegnare ai dipendenti del Ministero. Vidi partire un camion pieno di ogni ben di Dio con due autisti, i quali fecero ritorno dopo tre giorni. Mi consegnarono molti soldi in contanti ma anche tante fatture di coloro che non avevano pagato subito.

Il Direttore mi disse: conservale in cassa come carte contabili in attesa che arrivino i soldi e così le misi in una cartella e le contabilizzai come crediti da riscuotere e lì rimasero per tanto tempo, come dirò dopo.

Arrivò Natale e anche questa volta diedi le chiavi della cassa al rag. Capo, il quale le prese senza fare la verifica della cassa e così al mio ritorno me le ridiede e non facemmo nessuna verifica. Mi disse soltanto che movimenti aveva fatto. Grande fiducia, ma erano altri tempi allora.

Andai al mio paese ma ritornai subito per capodanno, perché il Direttore mi aveva concesso soltanto pochi giorni. E io timoroso ritornai subito perché dovevo pagare gli stipendi il 27, guai se avessi ritardato un giorno, il Direttore me ne avrebbe dette tante.

E così passai il secondo capodanno in Sardegna, ma a differenza del primo, trascorso in tremenda solitudine, questa volta lo trascorsi a casa della mia fidanzata, la quale organizzò una festicciola con balli e musica e dolci sardi. A mezzanotte anche fuochi, li portai io da S. Maria e in quel paese per la prima volta videro i fuochi di Napoli.

Il matrimonio e la nascita del primo figlio

Il nuovo anno iniziò con tanto lavoro da fare per me, c’era la chiusura dell’anno e con la guida del ragioniere capo finalmente imparai a fare la chiusura della cassa.

Imparai a chiudere i registri cassa, compilare i relativi prospetti, preparare il verbale e quando venne il Direttore nell’ufficio contammo i soldi e durante le operazioni anche il Direttore mi diceva come si doveva fare. Insomma sia lui che il rag. capo erano una ottima guida per me e ancora oggi li ringrazio per le cose che mi insegnarono perché ne feci tesoro per il futuro.

Certo il ricordo della prima verifica di cassa era un triste episodio, allora ero impacciato, assistevo alle operazioni che faceva il collega ma non capivo nulla perché nessuno mi aveva insegnato e il Direttore dell’epoca mi criticò che io ero immobile, non facevo nulla.

Invece, a distanza di un anno ero padrone della situazione, grazie agli insegnamenti del nuovo Direttore e del nuovo rag. capo.

Quest’ultimo, però, era un tipo strano, ma bravissimo: per giorni non lavorava e poi si metteva fino a tarda notte a recuperare. E io mi trovavo spesso a fare anche cose di sua competenza, come ad es. la compilazione degli ordini di riscossione e di pagamento. Io ero il contabile di cassa e non spettava a me fare quell’adempimento, ma non lo sapevo, in quei tempi si faceva di tutto e non si badava a chi spettasse il compito.

Questo fallo tu che io non ho tempo, mi diceva sempre e io facevo tutto perchè avevo tanta voglia di imparare. In poco tempo imparai a compilare tutti gli ordini di pagamento e di riscossione per la chiusura mensile della cassa e capii i meccanismi e le partite di giro.

Ma durante la prima verifica di cassa fatta da me con cognizione ebbi un ingiusto richiamo del Direttore. Infatti, tirai fuori dalla cassa la cartella delle fatture dei crediti per i prodotti venduti al Ministero e il Direttore disse arrabbiato: ma come non hanno ancora pagato ? tu sei contabile, ti devi dare da fare a riscuotere. Risposi: ma chi li conosce questi qui, a chi scrivo. Va bene mandi le richieste al Ministero, ti dico io a quali uffici.

E così preparai le lettere di sollecito ma non le firmò dicendomi: ma questo si offende, questo si arrabbia, faccio brutta figura con questo, ecc. Ma come, mi chiesi, prima si incazza con me e poi non vuole sollecitare il pagamento. Allora mi disse che avrebbe telefonato lui alle persone interessate (erano suoi amici del Ministero) e così un pò alla volta arrivarono i soldi.

Lo dissi al ragioniere capo, il quale mi disse: non dargli retta, prima si è fatto bello a mandare la roba al Ministero e poi si vergogna a farsi dare i soldi.

Ecco, un episodio che fotografava in che mondo lavoravo.

Ma fuori del lavoro vi era una grande armonia con il Direttore, il rag.capo, il maresciallo, i brigadieri preposti ai servizi più delicati ed erano le frequenti “tavolate” che si facevano tutti insieme.

Infatti, era usanza che ogni sabato sera in foresteria ci riunivamo tutti, compreso il cappellano. Si mangiava il classico maialetto (lattonzolo), formaggio sardo e vino buono. Tante delizie che non avevo mai mangiato finora.

Ma intanto il tempo passava e venne il giorno del mio matrimonio in Sardegna.

Invitai, ovviamente, il Direttore, il rag. capo, il brig.re Collu che stava con me in ufficio, l’agente Antonio, l’autista del Direttore, un napoletano mio amico e che in occasione del matrimonio fece l’autista a noi sposi.

Riporto qui sotto la foto con il Direttore al centro, il rag. capo e l’autista del Direttore a destra, il brig. Collu, mio collaboratore, e l’agronomo, a sinistra..

E la sera l’autista del Direttore ci accompagnò a mamone e nel mio alloggio io e mia moglie trascorremmo la prima notte. Si, proprio a mamone, in un carcere, perché nei dintorni non c’erano alberghi e siccome la nave per il continente partiva l’indomani sera, trascorremmo tutta la notte e la mattina a mamone, nell’ambiente carcerario. Una esperienza unica !

Al ritorno dal viaggio di nozze portai mia moglie nell’alloggio di mamone a me riservato (il Direttore lo aveva fatto imbiancare e aggiustare un pò) e così incominciai a fare la vita di sposato e il lavoro in ufficio filava meglio, mi sentivo più responsabilizzato.

La via di mamone migliorò, non ero più solo, a pranzo e a cena andavo a casa e non più alla mensa. Conobbi anche altre famiglie, frequentavo la famiglia del rag. capo, spesso uscivo con lui e la moglie. Quando si andava a mangiare da qualche parte con quelli dell’ufficio, lasciavo mia moglie a casa della sua mamma e io ero più tranquillo. Insomma, facevo una vita normale, molto diversa dei primi due anni quando ero solo e triste, senza nessuno.

E ne beneficiava anche il lavoro e approfondii le conoscenze sotto la guida del direttore e i segreti della contabilità che mi diceva il rag. capo.

Fui incaricato di fare anche il revisore dei conti dello spaccio e così feci una nuova esperienza. La contabilità la preparava il gestore e così incominciai a capire i movimenti contabili dello spaccio, che appresi subito perché era pura contabilità di ragioneria (stato patrimoniale, conto profitti e perdite, ecc.).

A settembre fu organizzata la rituale festa del Corpo e nella sala convegno questa volta c’erano anche i balli e la musica e io portai mia moglie per ballare. Fu una bella festa.

Intanto era prossima la nascita di mio figlio. Ero in ufficio quando mi chiamò la cugina di mia moglie: è maschio ! e io subito andai dal Direttore a dirglielo e lui subito disse: vai all’ospedale a vederlo (beh, qualcosa di buono forse lo aveva).

Partiti subito da mamone, correndo tanto per 50 Km. e così vidi il mio primo figlio. Non mi sembrava vero, ero papà e ciò mi responsabilizzò anche nel lavoro.

Dopo portai mio figlio a Mamone, anche lui fin da piccolo viveva in ambiente carcerario.

Ma il tempo era sempre brutto, tanta neve e spesso mancava la luce (durante le tormente di neve cadevano i pali dei fili elettrici) e di conseguenza anche il riscaldamento Per tale motivo mia moglie e mio figlio li trasferii al paese di mia suocera. E così ogni giorno andavo al paese di mia moglie la sera dopo finito il lavoro e la mattina presto ritornavo a Mamone, spesso con la strada innevata e pioggia. Ma ero finalmente felice di avere una vita normale dopo due anni di tristezza e di solitudine.

Purtroppo incominciai un pò a stancarmi di quei posti isolati, incominciai a pensare che la vita in città sarebbe stata migliore, per me e per la mia famiglia. Dovevo pensare al futuro, non potevo rimanere in un posto isolato e inabitabile per una vita normale. Erano posti selvaggi ove si faceva la vita di “eremita”. La prima città decente era a 80 Km. Ma dovevo pensare al futuro di mio figlio. Che prospettiva avrebbe avuto in quei posti una volta adulto ?

Natale e Capodanno li passai al paese di mia moglie, non andai in ferie al mio paese. In ufficio rimasi solo perché il rag. capo andò in ferie e per un pò portai avanti io il lavoro

Il trasferimento a Fossano

L’anno incominciò con il solito lavoro per la chiusura dell’esercizio e questa volta avevo esperienza e tutto mi riuscì facile. Ormai avevo appreso come si chiudevano i registri cassa, il riporto delle rimanenze (debiti e crediti di cassa). In quei tempi si scriveva tutto a mano e con la calcolatrice si totalizzavano le varie colonne dei registri, un lavoro che richiedeva tanto tempo.

Le registrazioni delle riscossioni e dei pagamenti avvenivano secondo l’ordine cronologico di emissione e non secondo la data di effettivo pagamento e riscossione, in quanto nei registri cassa si registravano le riscossioni e i pagamenti dai bollettari “madre” senza i titoli e poiché le operazioni si registravano una volta al mese, a volte anche da collaboratori, i quali registravano tutto in ordine cronologico.

Questa era la prassi vigente in quei tempi e anche nei tempi successivi e per me era normale, si faceva sempre così e mai potevo pensare che fosse irregolare fino a quando in qualche inchiesta penale tale prassi fu ritenuta un falso ideologico, come racconterò dopo.

Ma ormai, come accennato prima, non avevo più intenzione di continuare il servizio nella colonia agricola, per le grandi responsabilità e per le difficoltà che si incontravano nel controllare l’operato dei collaboratori sparsi nelle varie diramazioni, per la grande estensione dell’istituto.

Dovevo fidarmi delle loro registrazioni delle nascite, dei prodotti agricoli, ecc, cosa impossibile.

Erano passati ormai due anni e mezzo e volevo fare esperienza in un istituto di una città, vivere in modo normale come tutti e assicurare un futuro a mio figlio.

Perciò incominciai a informarmi dove fossero dei posti vacanti e venni a sapere che il mio collega Alfonso D’Amore, mio amico di concorso (si classificò dietro di me ed entrò nell’ammini-strazione grazie alla rinuncia di un vincitore), doveva andare via dalla sua sede di servizio: Fossano, in provincia di Cuneo.

Mi disse che c’era l’alloggio demaniale a fianco al carcere, con l’entrata indipendente e che l’avrebbe lasciato libero perché era stato trasferito a Roma.

Poiché dovevano assumere una ventina di ragionieri, freschi di concorso, la mia sostituzione a Mamone sarebbe stata facile.

E così feci subito la domanda di trasferimento, con grande dispiacere per il Direttore e per il rag.capo.

Il provvedimento arrivò a febbraio e io dovevo partire quando sarebbe arrivato il ragioniere di nuova nomina dell’ultimo concorso.

Il concorso lo vinse anche un mio grande amico d’infanzia Nicola Cappabianca, il quale fu assegnato a Capraia, anche lui in una colonia agricola e telefonicamente gli diedi consigli e suggerimenti.

Finalmente arrivò il mio sostituto dopo lunghe peripezie e assunse servizio prestando giuramento, al quale assistetti anche io e ricordai il mio giuramento quando assunsi servizio.

Incominciai a passare le consegne, ma anche lui non sapeva nulla dell’amministrazione e io gli dicevo che ci avrebbe pensato il rag. capo a insegnargli tutto, perché occorreva del tempo per imparare e raccontai la mia storia.

Prima di partire, il Direttore mi disse che aveva parlato con il Direttore di Fossano, al quale aveva detto che non ero né bravo e né scansafatiche. Ho detto così per non metterti in imbarazzo, mi disse, così quando andrai lì dimostrerai quanto vali. Ecco mi fece un complimento ed ero fiero perché fatto da un ragioniere esperto dell’amministrazione e lo ringraziai dicendogli che grazie a lui potevo affrontare le difficoltà di un altro istituto.

Anche a me dispiaceva lasciare Mamone, dove avevo fatto tante esperienze uniche, belle e brutte, ed emozioni straordinarie.

Ma non era un addio, perché essendo mia moglie sarda, sarei venuto in ferie ogni anno e quindi avrei rivisto tutti gli amici e collaboratori. E così è stato per anni, sono sempre tornato a Mamone, anche in ispezione contabile, come racconterò dopo, e i ricordi li avevo sempre presenti.

Nel mese di marzo partii da mamone e mi imbarcai a Porto torres per Genova, era la prima volta che facevo quel viaggio.

Sbarcai a Genova e vidi tutto un altro mondo, tanto traffico, palazzi grandi, non ero più abituato alla grande città, io che ero vissuto tre anni in una colonia agricola sperduta in mezzo alle montagne a 800 metri ! Mi sentivo come un montanaro quando la domenica va in città. Ma ero felice perché finalmente ero ritornato nella civiltà e ricominciavo una nuova vita.

Mi chiedevo durante il viaggio: come sarà questo Fossano ? Mi ambienterò ? Come saranno i collaboratori ? Imboccai l’autostrada e a Savona girai per Torino e uscii al casello autostradale di Fossano.

Arrivai in città, ma mi accorsi subito che in realtà era un paesotto del cuneese, circa 20.000 abitanti. Trovai la strada del carcere ed entrai nell’istituto. Mi presentai e mi portarono dal direttore, il quale era anche lui un ex ragioniere.

A prima vista mi fece una buona impressione. Rividi il mio vecchio amico collega Alfonso D’Amore, il quale mi fece conoscere tutti i collaboratori della Direzione.

In un primo tempo alloggiai in una camera della caserma perché dovevo aspettare che il collega lasciasse libero l’alloggio demaniale destinato al ragioniere.

La sera ero solo e giravo per il corso del paese. L’amico collega mi invitò a casa sua a mangiare e qualche sera uscivamo insieme e mi fece conoscere i suoi amici, tutti meridionali dipendenti statali.

In ufficio mi fece vedere le cose importanti e così dopo una ventina di giorni facemmo il passaggio della cassa e lui partì.

Ma cosa importante è che il Direttore mi fece depositare in Tesoreria della Banca d’Italia anche la firma per i buoni di prelevamento e degli ordinativi.

In quel momento non si comprendeva che si trattava di una irregolarità, perché essendo contabile non potevo firmare i titoli di spesa come “addetto al riscontro contabile”. Era una prassi errata, avallata anche dall’allora Ispettorato distrettuale.

Ero l’unico ragioniere, ma in Piemonte c’era una carenza di ragionieri spaventosa e in seguito venni comandato in trasferta presso altri istituti.

Incominciai subito a prendere confidenza con il nuovo lavoro che, in realtà, era minore rispetto a quello di Mamone. Non c’era la contabilità del bestiame, quindi avevo finito di contare le pecore, i maialini, le mucche ! Ma c’era la contabilità delle officine che erano attivissime e così imparai di persona come si sviluppavano gli ordini di lavoro, le registrazioni nei registri d’inventario delle materie prime e dei manufatti. Una esperienza che a Mamone non avevo fatto e che mi servì per il futuro.

L’inventario del materiale era più piccolo ed era tenuto da un detenuto scrivano che si occupava di tutta la contabilità del materiale (compresi i conti giudiziali), perciò di quel ramo non mi interessavo proprio. Lui mi portava da firmare e io mi limitavo a fare un sommario controllo.

La contabilità generale (mod. 26 C.G. ordinativi, buoni, rendiconti) era tenuta dall’app.to Bussotti, che diventò un mio grande amico. Era una persona squisita, un signore e rispettoso. Così anche l’addetto agli stipendi, l’app.to Franchi. Quando mi trovavo di fronte a una cosa nuova me la spiegavano con serietà e senza presunzione e così appresi tante altre cose nuove di una casa di reclusione.

Il maresciallo comandante era anch’egli una brava persona e spesso mi invitava a casa sua. Abitava di fronte al mio alloggio.

Il Direttore era un pò più distaccato, ma bravissimo. Non era un dittatore come quello di mamone. Lasciava lavorare e non si intrometteva nel mio lavoro e ciò mi rese autonomo e mi sentivo veramente un “capo”

Avevo appena tre anni di servizio e già svolgevo la funzione di ragioniere capo. Tutto faceva capo a me e anche se i collaboratori erano bravi ed erano in grado di lavorare autonomamente, spesso qualche problema si affrontava insieme, si discuteva e questa caratteristica mi ha sempre distinto.

Non ho mai assunto la figura di un capo dittatore, dialogavo con i collaboratori, li facevo sentire responsabili. Non ho mai detto la fatidica frase “qui comando solo io”, come spesso tanti miei colleghi la dicevano. Forse perchè non c’è mai stata occasione essendo i miei collaboratori rispettosi e se io decidevo una cosa la facevano senza obiettare e non c’erano contestazioni..

Abitavo nell’alloggio demaniale di grandi dimensioni, che affacciava nel cortile interno del carcere ove c’erano tanti uffici e magazzini, quindi frequentato da agenti e detenuti. In sostanza vivevo nel carcere, ma l’alloggio aveva una uscita indipendente che dava sulla strada cittadina vicina al corso e così tutte le sere uscivo. Ormai le serate brutte trascorse a mamone erano un lontano e triste ricordo. Facevo lunghe passeggiate per il corso, come facevo quando ero ragazzo al mio paese e così incontrai gli amici del mio collega che era andato via.

Feci subito amicizia perché erano tutti meridionali: uno era direttore all’ufficio del registro, uno era il direttore delle imposte dirette, un altro impiegato di una scuola, ecc. Insomma tutti dipendenti statali e ogni sera stavamo sempre insieme e spesso si andava a cena fuori. Non potevo lamentarmi, svolgevo una vita normale e non più quella di un “montanaro” come a mamone.

Dopo un paio di mesi ritornai in sardegna per trasferire mia moglie e mio figlio che aveva pochi mesi e così ritornai a mamone, dove mi abbracciarono tutti. E cosa strana non sentii nostalgia di quei posti, non ero per niente pentito di essere andato via. Rividi il mio ufficio con la cassaforte e mi vennero i ricordi, brutti e belli.

Il mio collega rag. capo mi raccontò dei continui bisticci con il Direttore che era un vero dittatore, mi diceva.

E allora potevo ritenermi fortunato con il personale che avevo trovato a Fossano.

Salutai il collega che mi aveva sostituito, il quale si lamentò: sei andato subito via, non mi hai insegnato niente. Ma c’è il rag. capo che ti segue, gli dissi, ma quello non ha mai tempo, mi rispose. E così vidi in lui me stesso quando ai primi tempi ero solo senza una guida.

Ritornai a Fossano e ripresi la vita normale.

Nel lavoro intanto aumentarono gli impegni. Mi chiamò un giorno il Direttore dicendomi: ora che si è ambientato può incominciare a girare per i carceri e mi fece mandare in trasferta a Cuneo, ad Alba e a Mondovì. Erano tre piccoli carceri collegati contabilmente con il carcere di Imperia, ma erano sotto la vigilanza di Fossano e per disposizione dell’Ispettorato il ragioniere di Fossano doveva periodicamente effettuare dei controlli.

E così iniziai a fare le prime trasferte della mia carriera (moltissime ne seguiranno dopo) e quando mi recavo in quei piccoli carceri il lavoro si limitava a normali controlli contabili, previa una verifica di cassa che era tenuta dal maresciallo. Ma non ci andavo in maniera inquisitoria, dialogavo con il maresciallo, il quale mi chiedeva consigli e pareri, per cui nello stesso tempo anche io apprendevo cose nuove e facevo altre esperienze.

Ecco, ad esempio appresi a Fossano la contabilità delle imprese di mantenimento. Per me era una cosa nuova perché a Mamone il servizio del mantenimento dei detenuti era svolto in economia, nel senso che non vi era una impresa che forniva il materiale, ma questo si comprava previo espletamento di gare. Cosa che non avveniva a Fossano dove il servizio era appaltato a una impresa che forniva i generi vittuari e altro per i detenuti.

Arrivò l’inverno e anche in quel paese era freddo e gelido, ma non ventoso come a Mamone. Ma a Fossano in più c’era la nebbia e ciò mi dava noia perché mi faceva paura e spesso non potevo uscire.

1973: un anno tragico, il mancato sequestro di persona

Nel nuovo anno facemmo la rituale chiusura della contabilità e questa volta, a contrario di mamone, non feci nulla. Se la vide tutto l‘app.to Bussotti, il quale da esperto che era mi fece trovare tutto pronto: registri contabili quadrati, chiusi, timbrati. Non mi sembrava vero: a mamone facevo tutto io. Venne il Direttore il quale non controllava niente, firmava solo, contrariamente al Direttore di mamone che ficcava il naso dappertutto e rompeva se c’era una virgola storta.

Insomma, come lavoro a Fossano non potevo lamentarmi, non avevo quella paura che avevo a Mamone, non c’erano tante responsabilità. Trattandosi di un istituto chiuso si poteva controllare facilmente.

Ma quando tutto filava liscio successe una tragedia nel carcere, che ricorderò per tutta la vita.

In Direzione venivano tanti detenuti per firmare documenti presso l‘ufficio matricola, che non era all’interno dell’Istituto. E il Direttore permetteva che i detenuti venissero in Direzione passando dalla portineria centrale.

E un giorno non so chi santo mi mise in testa di andare via dall’ufficio di mattina presto. Qualcuno mi fece arrabbiare e chiamai l’appuntato Franchi e gli dissi: andiamo subito a Cuneo alla Banca d’Italia a prelevare i fondi e così partimmo con la macchina della Direzione con la scorta armata.

Al ritorno a Fossano, trovammo il carcere tutto accerchiato dalla polizia e dai carabinieri. Ma cosa era successo ? Un detenuto armato era arrivato fino in portineria chiedendo di andare in matricola in direzione. Una volta in portineria sparò al portinaio per farsi aprire il portone di uscita, ma intervennero altri agenti e lui si vide perso e salì le scale della direzione e prese in ostaggio due agenti della segreteria e sparò al mio collaboratore Bussotti che aveva tentato di non farlo entrare.

Questo detenuto vide la cassaforte e chiese dove era il ragioniere. I sequestrati gli dissero che ero fuori. Un pericolo scampato per un pelo. Mi sarei trovato anche io ostaggio sotto la minaccia di una pistola. Come avrei reagito ? Ancora oggi mi chiedo chi mi aveva fatto questo miracolo.

Tutto il giorno questo detenuto rimase in direzione, aspettava una macchina per scappare via e vidi il Direttore che quasi piangeva implorando al detenuto di arrendersi.

Io ero spaventato, non mi era mai successo una cosa del genere e ancora con la borsa piena di milioni prelevati a Cuneo chiesi all’Ispettore distrettuale De mari, mio paesano: cosa facciocon questi soldi, dove li metto ? Portali a casa e domani li metti nella cassaforte e così li portai a casa dove vidi mia moglie spaventata e anche mio figlio piccolo. Li confortai e dissi loro di tenere chiusa la porta della cucina che affacciava sul cortile del carcere.

Ritornai dentro dove c’erano tutti i capi, ufficiali e tanta gente importante fino a quando la sera dissero al detenuto che la macchina era pronta e che poteva scendere.

Lui scese dalle scale della Direzione con la pistola puntata verso gli ostaggi e io vidi le loro facce spaventate e mi chiesi: potevo stare io al loro posto. Ma i cecchini subito lo colpirono e i cani fulmineamente lo assalirono e così finì tutto.

Ci abbracciammo tutti con gli ostaggi e finì bene una giornata tragica. In ospedale erano ricoverati perché feriti l’agente della portineria e l’appuntato Bussotti, il mio grande collaboratore.

Dopo qualche giorno venne nell’istituto addirittura il Ministro della giustizia, accompagnato dal Direttore generale delle carceri. Io ero nel mio ufficio e sentivo dire a voce alta nell’ufficio del Direttore: lei è un incompetente, sarà trasferito immediatamente. Era il Direttore generale che era incazzato con il Direttore. Eh si, era bravo ma troppo superficiale. Permettere a detenuti incalliti venire in Direzione passando dalla portineria era stato un grave errore.

E così dopo circa un mese fu trasferito a Imperia e io rimasi solo

Venne in missione il Direttore di Saluzzo, Ortoleva, il quale mi conobbe e mi apprezzò chiedendomi di andare in trasferta nel suo carcere perché il suo rag. capo andava in pensione.

E così assunsi l’incarico di contabile anche del carcere di saluzzo.

Ma un giorno mentre ero alla firma nell’ufficio del direttore di saluzzo sentii che questi parlava con il mio primo direttore di mamone, al quale il Direttore di saluzzo disse: ma è qui con me, è bravo invece, ma cosa dici.

Dopo la telefonata il Direttore di saluzzo mi disse: ma lo sai che l’ex tuo direttore di mamone parlava male di te. Cose da pazzi, che concetto brutto si era fatto di me nei primi mesi trascorsi a mamone, perché mi vedeva senza fare niente per colpa dei miei colleghi che non mi insegnavano nulla. Ma ebbi la soddisfazione che il nuovo direttore gi aveva detto che ora ero bravo.

E così oltre alle trasferte periodiche che ho detto sopra affrontai anche l’incarico di contabile di cassa in un altro carcere dove anche lì c’erano bravi collaboratori (anche un bravo detenuto scrivano) che facevano tutto e io mi limitavo a firmare e pagare.

A Fossano, poi, per la mancanza del Direttore fisso incominciai a svolgere anche il lavoro di Direttore: firmare le domandine dei detenuti, scrivere le decisioni sui rapporti degli agenti. Eh si, in quel tempo, per regolamento, in assenza del Direttore, le relative mansioni erano svolte dal ragioniere e perciò io ero costretto a sbrigare anche i compiti di “ordinaria amministrazione” e firmavo le pratiche della segreteria e dell’ufficio matricola.

E grazie a questa esperienza, appresi tante conoscenze anche in altre materie e ciò mi fu utile nel futuro quando avrei scritto il famoso libro sull’amministrazione penitenziaria.

Insomma la mattina non potevo dedicarmi interamente al mio lavoro e meno male che avevo degli ottimi collaboratori che facevano tutto loro. Veniva prima il maresciallo, poi quello della matricola e quello della segreteria e infine i miei collaboratori per la firma della posta.

Il Direttore quando veniva stava si e no una ora e diceva a tutti: fate firmare al ragioniere.

Per gli stipendi poi provvedeva tutto l’appuntato Franchi al quale, dopo aver imbustato i contanti insieme a lui, consegnavo le buste paga che venivano custodite nella sua cassaforte.

Ciò a mamone non accadeva perché le buste paga le conservavo nella mia cassaforte e le consegnavo io agli agenti. A Fossano invece le consegnavo all’appuntato perché la prassi era così e certo non potevo cambiarla, avrei suscitato dei sospetti verso l’appuntato, il quale era serissimo e fidato.

D’altra parte ero indaffarato in tante cose extracontabili e non avevo tempo di consegnare le buste agli agenti.

Inoltre, essendo revisore dei conti dello spaccio provvedevo anche alla relativa contabilità che mi preparava sommariamente il gestore e io la completavo. Una esperienza che pochi ragionieri avevano e ciò mi fu utile per il futuro, come dirò dopo.

In estate andai in vacanza a capraia (in toscana) dal mio collega amico d’infanzia Nicola e così ebbi modo di conoscere un’altra colonia agricola ma su un’isola, circondata dal mare.

Dopo qualche mese venne in trasferta il Direttore Forte da Massa, il quale stava due giorni interi e così fui sgravato un pò dei compiti che non erano miei. Mi trovavo bene perché lui era un esperto ragioniere e feci tesoro dei suoi consigli e suggerimenti.

Ma per il personale ero visto sempre come colui che sostituiva il Direttore e così quando scoppiò di notte un incendio in una sezione del carcere svegliarono anche me. Erano circa le tre di notte e dovetti vestirmi e andare dentro il carcere per un dovere morale, anche se, per mia fortuna, era presente il Direttore.

Ciò sta a dimostrare che la mia vita era vissuta nel carcere, sia perché ho sempre abitato negli alloggi demaniali che affacciavano nei cortili del carcere e sia perché ero sempre disponibile e in qualsiasi avvenimento ero sempre presente.

Arrivò la fine dell’anno e cadde un’altra tegola: morì l’impresario del servizio del mantenimento e il 30 dicembre, penultimo giorno dell’anno, dal Ministero mi dissero: dal primo gennaio andate in economia, dovete provvedere tutto voi agli acquisti del vitto per i detenuti e per il sopravvitto. Mi sentii morire e disperato: come facevo ? in poco tempo come organizzavo tutto e dove compravo il materiale, da quale impresa ? dovevo fare della gare, non facevo in tempo. Un fine d’anno bruttissimo. Meno male che il magazzino dell’impresa era ben fornito e insieme all’appuntato addetto facemmo l’inventario dei generi che il rappresentante dell’impresa consegnò a noi e così grazie all’ottima collaborazione dell’appuntato della cucina il servizio andò avanti per qualche giorno.

Ma successivamente per mia fortuna avevo un Direttore ex ragioniere il quale risolse tutto: affidò la fornitura del vitto a una Ditta del posto, la quale poi mensilmente fatturava il materiale fornito al prezzo di mercato.

Una cosa impensabile adesso, senza una gara, senza nessun contratto. Il Direttore fece soltanto un incarico scritto alla Ditta. In quel momento io fui contento perché mi sgravavo di tanti compiti, non dovevo più pensare a fare gli acquisti. Chissà, forse il direttore fu autorizzato a fare questa procedura strana che non era prevista dalla contabilità generale.

Comunque andò tutto bene per circa un anno, fino a quando fu appaltato il servizio a una nuova impresa.

L’anno del malcontento e della lotta per il trasferimento

Come al solito il nuovo anno iniziò con la chiusura dell’esercizio e come l’anno precedente l’app.to Bussotti, rientrato prontamente in servizio dopo una lunga convalescenza, mi fece trovare tutto pronto.

Il Direttore Forte, esperto ragioniere per la verità non si mise a controllare, nonostante fosse anche lui un ex ragioniere e tutto finì bene.

Ugualmente feci alla casa di reclusione di Saluzzo, ove ero contabile di cassa, mentre il rag. Primavera da Torino, svolgeva il compito di rag. capo. Lì c’era un detenuto scrivano bravissimo che svolgeva tutti i compiti che a Fossano svolgeva l’appuntato Bussotti.

Ecco, nella mia lunga carriera penitenziaria ho avuto l’opportunità di essere collaborato da detenuti che un tempo erano addetti agli uffici della ragioneria. Erano persone normali, fidate, che avevano tutto l’interesse acchè il lavoro andasse bene per ottenere i benefici penitenziari. In tutti gli istituti c’erano questi personaggi che oggi non ci sono più, a causa dell’immissione in servizio di collaboratori amministrativi che in quei tempi non c’erano.

In primavera non so per quale motivo venne un nuovo direttore da Cairo Montenotte: Dr. Dotto. Subito mi accorsi che non gli avevo fatto una buona impressione, tanto è vero che quando mi comunicarono la classifica annuale (in quei tempi ogni anno ti davano un punteggio complessivo per il lavoro svolto, la capacità ecc.), lessi un punteggio minimo.

Acchè telefonai al rag. Gambera dell’Ispettorato di Torino e mi lamentai. Lui che mi apprezzava tanto (e poi sapeva che avevo due istituti da gestire) telefonò al Direttore e, a seguito di una integrazione, il punteggio mi fu portato al massimo, come negli anni precedenti.

Da quel momento il Direttore cambiò concetto su di me. Forse all’inizio non mi conosceva bene e grazie alle informazioni del rag. Gambera, iniziò ad apprezzarmi.

Anzi, in estate lui doveva andare in ferie e mi fece avere l’incarico di direttore amministrativo della Scuola di Cairo Montenotte. Era la prima volta che avevo questo grande incarico (ripeto che in quei tempi il ragioniere sostituiva il Direttore). Ne ero entusiasto e ciò accrebbe la mia esperienza. Ma il lavoro si limitava soltanto all’ordinaria amministrazione (firma della corrispondenza) perché per la parte tecnica ci pensava il generale Aprea.

Successivamente presi in consegna anche la cassa della Scuola (dopo finito l’incarico di Direttore), perché andò via il ragioniere e così mi trovai a svolgere tre incarichi di contabile: Fossano, Saluzzo e Cairo Montenotte. Ricordo che in tasca avevo tre chiavi delle casseforti, tutte uguali e avevo difficoltà a riconoscerle quando mi recavo in uno di tali istituti.

Ma gli incarichi non finivano, fui comandato ad andare ad Asti a svolgere le mansioni di Direttore per un breve periodo di tempo. Altra utile esperienza e così ebbi occasione di visitare la città dello spumante.

A Fossano i compiti di Direttore aumentavano sempre per l’assenza di un Direttore titolare. Infatti, quello in missione veniva sporadicamente e per poco tempo e nei giorni in cui lui non c’era dovevo occuparmi di tutto. E ciò mi dava noia, io volevo fare soltanto il ragioniere, non volevo responsabilità che non mi competevano.

Inoltre, si avvicinava un altro inverno rigido (la neve era quasi giornaliera) e incominciai a pensare che dovevo cambiare aria, non potevo stare per sempre in quel paesetto con un clima rigido.

Mio figlio poi era anemico, aveva bisogno di un clima migliore.

E così incominciai a informarmi se c’era qualche sede vuota vicino al mare e parlando con i colleghi venni a sapere che dopo qualche mese si sarebbe liberata la sede di Lucca, in Toscana.

Vidi sulla cartina geografica e constatai che era in una posizione geografica magnifica, sarebbe stato l’ideale per me.

Telefonai al collega di Lucca ed effettivamente mi disse che doveva andare via e così feci la domanda di trasferimento, anche perché alla fine del’anno l’amministrazione doveva assumere i vincitori dell’ultimo concorso.

Le speranze erano buone, ma a Fossano non assegnarono nessun ragioniere di prima nomina, come accadde a Mamone e così partii per il Ministero per parlare con il capo ufficio (l’ispettore Sturniolo), il quale mi disse che ormai era fatta e non poteva mandare nessuno a Fossano per darmi il cambio.

Ero distrutto, come avrei fatto a stare a Fossano altri due anni quando sarebbero stati assunti altri ragionieri ?

E così misi in moto tutte le persone che conoscevo per raccomandarmi per farmi trasferire.

Intanto il mio amico di infanzia Nicola Cappabianca era stato trasferito da capraia ad Alessandria, a 80 km. da Fossano e ci rimasi male perché gli rimproverai che poteva farsi trasferire a Fossano al mio posto. E lui: ma ha fatto tutto l’ispettore distrettuale che mi ha aiutato ad andare via da capraia.

Ci incontrammo e lo implorai se veniva a Fossano a darmi il cambio, ma non era possibile perché ad Alessandria c’era tanto bisogno di personale di ragioneria.

Passai un fine anno preoccupato e ansioso, ma il lavoro scorreva bene ugualmente con i bravi collaboratori che avevo.

Il trasferimento a Lucca, un sogno avverato

Mi vedevo sempre con il mio amico collega Nicola e incominciò a convincersi perché aveva parlato con il suo “protettore” l’ispettore distrettuale.

Fu questi che lo convinse, anche su pressione da parte del Ministero, al quale arrivavano raccomandazioni continue per me, anche da parte del Ministro.

E così andai con Nicola a Torino dall’Ispettore distrettuale De Mari, il quale ci disse che aveva appena parlato con il Ministero ed era tutto a posto. Con il trasferimento di Nicola a Fossano io ero libero di andare a Lucca e il collega di Lucca sarebbe andato a Frosinone.

Ero contentissimo, finalmente lasciavo una cittadina molto fredda per andare in una città d’arte bellissima, vicina al mare.

Un giorno andai a Lucca appositamente per conoscere la sede e mi incontrai con il collega Coscione a casa sua. Mi assicurò che i collaboratori erano bravi e che era tutto a posto.

Cosa chiedevo di più ?

Ma non era tutto bello come sembrava.

Presi servizio a Lucca nel mese di marzo e conobbi i miei collaboratori che erano come quelli di Fossano. Anche loro preparavano tutto e io mi limitavo a firmare.

Presi in consegna la cassa e il collega Coscione prima di partire mi portò dal Procuratore della repubblica presentandomi come il nuovo ragioniere capo che avrebbe svolto anche il lavoro di Direttore.

Eh sì, anche a Lucca vi era un direttore in missione che non veniva quasi mai e io dovevo occuparmi di tutto, come a Fossano.

Il collega Coscione mi confidò che il Procuratore era preoccupato che lui andava via perché dirigeva bene il carcere e che aveva telefonato al Ministero e il capo del personale gli aveva assicurato: anche il rag. Canoro è bravo.

Insomma, dovevo fare il Direttore o il ragioniere ? e questa cosa non mi andava giù.

A Lucca il ragioniere era considerato il Direttore, perché il precedente collega pensava a fare solo il Direttore, funzione che gli piaceva tanto (e infatti dopo qualche anno vinse il concorso di Direttore).

Ma a me non piaceva, io ero ragioniere e mi piaceva fare il ragioniere.

Comunque, nella vita estracarceraria mi trovavo benissimo, l’alloggio che occupavo aveva una entrata indipendente e vicina al centro storico della città bellissima.

Ma anche qui l’alloggio si affacciava sul cortile di passeggio dei detenuti, dove si vedeva di tutto ! e a due metri dalla finestra del bagno c’erano le celle e a volte durante la notte si sentivano rumori e chiassate dei detenuti.

Nel lavoro di ragioneria non c’erano problemi, i collaboratori mi preparavano tutto, erano in gamba, per cui gran parte della mattina la passavo per affrontare problemi che non erano miei, dovevo giudicare i rapporti ai detenuti, andare dentro l’istituto quando i detenuti si rivoltavano, spesso anche di sera tardi.

Il Direttore si disinteressava di tutto, veniva per una mezz’ora e faceva solo casino. Era un fanfarone, un casinista, un trafficone, insomma uno che poteva farmi passare qualche guaio.

Inoltre, giornalmente dovevo combattere con il brigadiere che faceva il servizio degli agenti, perché mi toglieva l’agente dalla ragioneria per le sostituzioni all’interno dell’istituto e questi si lamentava sempre con me, dicendomi che quel brigadiere lo faceva apposta. Insomma, c’erano tanti contrasti che mi rendevano la vita difficile.

Nel lavoro contabile dovetti risolvere il problema dei rendiconti degli anni precedenti relativi al periodo in cui il rag. Virivè aveva fatto degli ammanchi ingenti nel 1968. Infatti, prelevava fondi dalla tesoreria mediante buoni non firmati dal Direttore, ma da lui stesso falsificando la firma. I soldi prelevati non li metteva in cassa e quindi alla fine vi fu un ammanco di circa 80 milioni di lire.

Nelle gestioni contabili della cassa per fortuna non vi erano ammanchi, ma bisognava provvedere al pagamento di somme di agenti mai pagate agli interessati e la corrispondenza era continua. Per i rendiconti c’era il problema della contabilizzazione degli ordini di pagamento non pagati da anni e la Ragioneria regionale di Firenze sollecitava sempre la soluzione.

In sostanza, la Direzione di Lucca aveva inviato i rendiconti a Firenze contabilizzando tutti i pagamenti, anche quelli non eseguiti dal rag. Virivè. Ma la ragioneria di Firenze voleva che fossero contabilizzati soltanto i pagamenti effettivamente eseguiti.

Prima della mia venuta a Lucca, vennero dal Ministero anche illustri colleghi che non riuscirono a risolvere il problema. Infatti, loro contabilizzarono tutto, anche i pagamenti non pagati e in tal modo il rendiconto chiudeva a pareggio e l’ammanco come sarebbe stato calcolato ?

Io, invece, rifeci tutti i rendiconti e non contabilizzai i pagamenti non eseguiti e in tal modo ogni rendiconto presentava una differenza da versare che costituiva l’ammanco effettivo. Feci l’elenco degli importi rimasti da versare per ciascun capitolo e portai il tutto alla Ragioneria regionale di Firenze.

Il funzionario della Ragioneria disse: finalmente e mi portò dal suo Direttore, il quale si congratulò con me facendomi tanti elogi e dicendo: finalmente dopo tanti anni è stato risolto il problema del carcere di Lucca !

Fu una grande soddisfazione per me, anche perché non avevano risolto il problema i ragionieri del Ministero, quando, invece, era tanto semplice compilare i rendiconti nel modo come voleva la Ragioneria.

Ecco, un mio pregio è stato sempre quello di semplificare il lavoro e non complicarlo, come purtroppo vedevo fare da tanti colleghi, anche anziani esperti.

Purtroppo, dopo venni a sapere che il totale dell’ammanco fu posto a carico del Direttore dell’epoca, il quale fu ritenuto responsabile in quanto funzionario delegato. Il rag. Virivè, che in effetti si era appropriato dei soldi, aveva pagato soltanto con un breve periodo di carcerazione.

E questa fu un’altra esperienza per me, di cui feci tesoro in seguito.

In estate non andai neanche in ferie perché non potevo lasciare la Direzione senza nessuno, cosa sarebbe successo ? tanto il mare era vicino (Viareggio) e io ci andavo sempre con la famiglia. Almeno i posti belli vicini alleviavano le mie preoccupazioni.

Intanto, mi fu affidato l’incarico di sostituire il ragioniere di Forlì (250 Km. distante) e io accettai perché mi piaceva viaggiare e avrei visto la costiera romagnola, dove non c’ero mai stato.

Ci andavo due giorni la settimana e mi limitavo solo a pagare e anche lì c’erano bravi collaboratori. Alla fine del mese imbustammo le paghe e lasciai tutto all’agente delle paghe. Ero tanto fiducioso in quel tempo. Mi fidavo di una persona che non conoscevo e che stava tanto lontano ? Ero stato un incosciente ? ma in quei tempi si faceva così. Anche a Fossano e a Lucca io lasciavo gli stipendi in mano agli agenti delle paghe. Era una prassi di tutti gli istituti e mi andava sempre bene perché ero fortunato ad avere collaboratori onesti.

E a settembre da solo dovetti anche organizzare la rituale festa del Corpo, perché il Direttore non poteva venire: se la veda tutto lei ragioniere, mi disse.

E così con i collaboratori, che erano diventati anche amici, organizzai tutto e per la prima volta dovetti presenziare alla cerimonia e ricevere le autorità. Dovetti anche leggere il messaggio del Direttore generale davanti a tutte le autorità cittadine.

Prima ero preoccupato, ero timido e non sapevo se ce l’avessi fatta, ma salito sul palco ebbi coraggio e lessi il comunicato e aggiunsi qualcosa di mio ringraziando i presenti.

Poi il rituale pranzo e io in mezzo alle autorità.

Una esperienza unica per un ragioniere. Facevo il Direttore ormai, il lavoro di ragioniere lo facevano i miei collaboratori.

Ecco la foto quando lessi il messaggio del Direttore generale

A Lucca feci nuove esperienze contabili: la contabilità dei manufatti e la loro vendita con la cessione ad altri istituti, cosa che mi servì per futuro quando andai a Volterra in missione. Appresi anche la contabilità delle traduzioni dei detenuti (contabilizzazione dei viaggi e pagamenti all’im-presa).

Ma in autunno il Direttore fu trasferito definitivamente a Lucca e i guai incominciarono perché finalmente i compiti di Direttore li svolgeva lui, ma combinava solo guai e io ero preoccupato che mi succedesse qualcosa.

E allora andai un giorno all’Ispettorato per parlare con l’Ispettore, il quale sapeva già tutto e mi disse che sarebbe venuto a Lucca per fare fuori il Direttore.

La mia paura aumentò perché io facevo anche il riscontro contabile e pensai che avrei avuto anche io qualche problema.

Per mia fortuna l’ispettore distrettuale morì e il Direttore, tutto felice, si ubriacò. Era passato il pericolo e anche io mi ero tranquillizzato perché se ci fosse stata una ispezione avrei avuto anche io dei problemi, in quanto firmavo per riscontro contabile.

Ma con il Direttore era una guerra giornaliera, lo dovevo frenare, faceva solo casini, acquistava tutto, faceva fare lavori senza fondi e io dovevo mettere le pezze.

Passai dei brutti periodi e avevo tanta paura.

Ma ebbi fortuna: incontrai per caso il Direttore Forte, quello che veniva in missione a Fossano. Lui era a Pisa e mi disse: scappa da Lucca se non ti troverai in un guaio e mi propose di andare a Pisa perché stava facendo trasferire il suo ragioniere capo che era un trafficone. Vieni a Pisa con me, metti a posto la contabilità e lavoriamo bene.

Mi sembrò un sogno, con lui sarei stato benissimo e innanzitutto protetto e tranquillo e così accettai la proposta perché a Lucca ormai la situazione era diventata insopportabile.

Tanto Pisa era più vicina al mare, era una città grande con gli stessi posti belli vicini come Lucca. E così se la vide tutto il Direttore Forte a farmi trasferire.

Ma intanto fui incaricato in missione a Volterra per dare una mano all’amico collega Gianfranco Rosito e insegnare al neo assunto ragioniere Carmignani Stefano, due futuri grandi amici.

Ricordo i viaggi brutti che facevo per raggiungere Volterra. Partivo la mattina molto presto per arrivare alle 9 e mezzo e poi ripartire la sera alle 18 e tornare a casa dopo le nove. Ma l’incarico mi servì per fare esperienza anche delle lavorazioni penitenziarie che lì erano molto sviluppate. Appresi la contabilità delle commesse e le variazioni negli inventari del materiale da lavoro e dei manufatti. Una contabilità particolare che viene eseguita soltanto negli istituti ove vi sono le lavorazioni.

Il trasferimento a Pisa

All’inizio dell’anno feci a Lucca la rituale verifica di cassa senza la presenza del Direttore, il quale mi disse di preparare tutto e poi avrebbe firmato i verbali.

L’appuntato che avevo in ragioneria (Ianni) preparò tutto (come Bussotti a Fossano) e così fu terminata la chiusura dell’anno 1975.

Lo stesso Ianni preparò anche i conti giudiziali, mentre il conto giudiziale del materiale lo preparai io poichè l’altro collaboratore (Manfredi) era da poco in ufficio e stava apprendendo la contabilità. E così per la prima volta compilai i modelli del materiale personalmente, in precedenza tale lavoro me lo facevano i detenuti.

A fine mese fui trasferito a Pisa, ma non lasciai l’incarico a Lucca perchè non arrivò nessun cambio. Infatti, il rag. capo di Pisa (Ocone) doveva andare a Volterra, dove il rag. Carmignani sarebbe dovuto venire a Lucca al mio posto, ma visto che Ocone si ammalò e non andò mai a Volterra, a Lucca non venne nessuno.

E per tutto il 1976 rimasi un giorno a Lucca per sbrigare i compiti di contabile di cassa, con la grande collaborazione dell’appuntato Ianni e dell’agente Manfredi. Facevano tutto loro e io firmavo solo. Per gli stipendi davo tutto l’importo all’appuntato Ianni il quale imbustava e dava gli stipendi al personale. Massima fiducia, ma erano altri tempi. Fortunatamente non mi è mai successo nulla.

Presi servizio a Pisa, feci il passaggio di consegne con il rag. capo Ocone, il quale mi parlava male del Direttore e anche di me, perché dopo venni a sapere che lui aveva detto in giro che io non sarei stato capace di portare avanti la contabilità del carcere di Pisa. E ciò mi spronò per eliminare tutti gli arretrati e condurre la gestione ottimamente, in modo da dimostrare che non ero quello descritto.

E così fu, ma con grande sacrificio. Ogni mattina partivo da Lucca e ritornavo a tarda sera. Soltanto il sabato pomeriggio non rimanevo a Pisa e andavo in ufficio a Lucca e anche la domenica mattina, per sbrigare le pratiche più urgenti e firmare le contabilità che mi preparavano i miei ottimi collaboratori.

Furono mesi di duro lavoro, il più faticoso della mia carriera, ma ero instancabile, non so chi mi dava la forza. Ero dotato di grande volontà di fare bene perché ero contento di stare finalmente in una sede importante ove sarei diventato un grande ragioniere.

Avevo come collaboratori un coadiutore (Calleri), un agente che mi aiutava per le pratiche di ragioniere capo e un appuntato alle paghe. Erano anche loro bravi e mi aiutavano molto.

Feci anche i conti giudiziali per il rag. Ocone, il quale non li volle firmare perché aveva trovato degli errori formali per distrazione. E fece pervenire una lettera lunghissima ove c’era un tono inquisitorio nei confronti della Direzione e ovviamente contro di me che l’avevo sostituito. Ma il Direttore si arrabbiò e lo rispose per iscritto con un tono brutto e scrivendo anche all’Ispettorato.

Ecco, il Direttore Forte era il primo Direttore che mi apprezzava a tal punto che difendeva il mio operato e la soddisfazione era grande perché egli era un ex ragioniere, quindi sapeva la contabilità carceraria.

Intanto, il Direttore preparò la pratica per ristrutturare l’alloggio demaniale che dovevo occupare. Era molto più bello di quello di Lucca. Ma il Direttore non voleva creare una entrata indipendente dall’esterno del carcere e così io gli feci presente che con la mia famiglia sarei stato in prigione perché dovevo entrare nell’alloggio attraverso il portone d’ingresso del carcere, che veniva chiuso a mezzanotte. Lui tentennò e fece presente che occorrevano più soldi e quindi non si poteva fare nulla. Allora a questo punto decisi di andare via da Pisa e ritornare a Lucca e quindi gli presentai la richiesta di trasferimento. Acchè lui acconsentì alla mia richiesta di fare una entrata indipendente dell’alloggio e così tutto si sistemò. Ovviamente non voleva perdermi e capì che me lo meritavo per il gran lavoro che stavo svolgendo per eliminare gli arretrati.

In autunno arrivò una ispezione della Ragioneria regionale dello Stato di Firenze. Era la prima perché per una nuova disposizione del Ministero del tesoro ogni sei mesi le Ragionerie regionali dello Stato dovevano effettuare le verifiche agli istituti penitenziari.

E così preparai la cassa per la chiusura. Per me era la prima ispezione che ricevevo e andò tutto bene.

A fine anno facemmo la chiusura, i registri cassa li chiuse l’agente della ragioneria, anche lui bravo. Chiamai il Direttore, il quale, anche se ex ragioniere, non “rompeva”, anzi mi dava consigli utili.

Il primo collega di lavoro (una donna) e l’incarico scritto di ragioniere capo

Alla fine di gennaio trasferii anche la famiglia e poi arrivò il collega Parisi da Firenze che mi diede il cambio a Lucca e così lasciai definitivamente Lucca, con un pò di dispiacere perché lasciavo ottimi collaboratori, con i quali, però, continuavo a tenere i contatti.

L’alloggio era ottimo, entrata indipendente e si affacciava sul cortile interno della caserma e dello spaccio. Niente detenuti in vista.

E nel mese di marzo a Pisa arrivò un ragioniere di prima nomina, era una ragazza: TINA SCIRE’, con la quale strinsi profonda amicizia che mi lega tutt’ora a distanza di quasi 40 anni.

E così per la prima volta ebbi l’incombenza di insegnare a un ragioniere di prima nomina che non conosceva nulla della contabilità, come del resto io agli inizi della carriera.

Ma fui fortunato, perché lei era in gamba, intelligente, prossima a laurearsi e apprendeva subito e in breve fu in grado di assumere la mansione di contabile di cassa

Infatti, dopo un pò mi arrivò l’incarico scritto dal Ministero di assumere la funzione di ragioniere capo. L’aveva richiesto il Direttore, che mi apprezzava tanto.

E così dopo appena otto anni svolgevo la mansione di ragionere capo su incarico scritto del Ministero.

Fu una grande soddisfazione per me e un riconoscimento del grande lavoro svolto nell’anno precedente. Avevo appena 8 anni di servizio !

Intanto, le soddisfazioni continuarono perché dal 1° luglio fui promosso ragioniere principale insieme a tutti i colleghi del concorso del 1969 (eravamo 12). Ma la soddisfazione fu che io mi classificai al quarto posto nello scrutinio per merito comparativo. Ciò significava che io avevo scavalcato 7 colleghi perchè nella graduatoria dei vincitori del concorso ero dodicesimo.

Una grande soddisfazione che premiò il mio lavoro continuo ed efficace per otto anni negli istituti di Mamone, Fossano e Lucca.

Dopo il Direttore mi disse che aveva appreso dal Ministero che io ero salito dal dodicesimo posto al quarto in classifica per i miei meriti di servizio.

E così continuai a svolgere il lavoro di ragioniere capo e insegnare alla collega tante cose della contabilità e ancora oggi lei mi ricorda gli insegnamenti che aveva avuto da me in quel periodo. Infatti, in occasione della festa del mio pensionamento, come dirò dopo, lei fece un grande discorso e mi ringraziò davanti a tutti degli insegnamenti da me ricevuti.

Alla fine dell’anno con i miei collaboratori provvedemmo alla rituale chiusura della contabilità e io firmai per la prima volta in qualità di ragioniere capo e dirigevo le operazioni.

La rottura con il Direttore – il periodo più brutto della carriera

Nel corso del primo semestre dell’anno nulla di importante accadde. Il lavoro si svolgeva ottimamente con i miei collaboratori. La ragioniera ormai era autonoma e svolgeva bene il suo lavoro, il coadiutore Calleri mi aiutava nelle pratiche e l’agente felici mi teneva il mod. 26 C.G. delle aperture di credito.

All’inizio dell’anno il Direttore mi fece notificare la classifica annuale e rimasi a bocca aperta: un elogio grandissimo, inaspettato, mai visto una cosa del genere in tutta la carriera. Lo ringraziai tanto e lui disse: te lo meriti.. Una grande soddisfazione che aveva maggior valore perché fatta da un Direttore ex ragioniere.

Un giorno il Direttore mi disse che serviva aiuto a Grosseto, ove c’era una ispezione di finanza e la ragioniera giovane aveva bisogno di aiuto.

E così andai e conobbi per la prima volta gli ispettori della Ragioneria generale dello Stato, che controllavano tutto. Erano stati prima a Livorno per circa un mese e poi andarono a Grosseto perché questo carcere era collegato contabilmente con Livorno.

Dopo andarono via e io continuai ad andare a Grosseto per aiutare la giovane ragioniera.

In estate quando andò in ferie il Direttore lo sostituii io perché in quei tempi il ragioniere capo sostituiva il Direttore. E lo sostituii anche al carcere di Grosseto ove lui era in missione.

E proprio durante la sostituzione mi trovai davanti a un grosso problema: era stato assegnato a Pisa il famoso brigatista Curcio e il maresciallo venne da me per fare un telegramma al Ministero per non fare arrivare a Pisa il brigatista, inventando tante scuse. Buttai giù un pò di parole insieme al maresciallo e lo spedimmo. Ma quando rientrò il Direttore fu fatto un seguito e il Direttore senza rispetto scrisse che il primo telegramma era stato scritto in sua assenza. Ci rimasi male e mi ripromisi che la prossima volta non avrei mosso un dito.

Arrivò l’autunno e con esso arrivò il periodo più brutto della mia carriera.

Da tempo sentivo parlare male del Direttore: che era un dittatore, che trafficava, che era amico del titolare dell’impresa di mantenimento. Le voci si facevano sempre più insistenti e un giorno il maresciallo chiuse la porta del mio ufficio e mi parlò a quattrocchi: ragioniere, ma si è accorto che il Direttore traffica con l’impresa di mantenimento e prende la tangente per il sopravvitto.

Io lì per lì non diedi conto a quello che mi disse e feci finta di non sapere niente. Però non potevo ignorare che in quel periodo il Direttore era fuori per le cure termali ed era in compagnia proprio con l’impresario e la famiglia. Già, erano amici di famiglia e si frequentavano e io li vedevo spesso in giro con le proprie mogli.

A questo punto ebbi paura che succedesse qualcosa e poiché io avevo il riscontro contabile, sicuramente mi sarebbe successo qualcosa.

E così qualche giorno dopo feci un grandissimo errore. Venne nel mio ufficio l’impresario dell’impresa di mantenimento a riscuotere il sopravvitto e, poiché vi era tra me e lui un pò di amicizia e si scherzava sempre, gli dissi da “amico”: guarda che dentro sparlano del Direttore e di te, dicono che siete d’accordo, ecc. Lui si incazzò e andò via.

Dopo qualche giorno mi vidi chiamare dal segretario del Direttore invitandomi ad andare nell’ufficio. Entrai preoccupato e vidi il maresciallo, la ragioniera e altre persone e tutti che mi guardavano.

Il Direttore stava scrivendo un ordine di servizio concludendo: e così il Direttore non mangia con l’impresa, vero ragioniere ? mi disse. Così ha detto all’impresa.

Io negai subito e alla fine dissi che in giro si dicevano queste cose.

Mi deve dire chi è che dice queste cose in giro, mi chiese arrabbiatissimo il Direttore. Il personale, risposi, non posso dire i nomi, non li conosco.

E allora se non conosce i nomi significa che è lei che ha detto queste cose in giro. Una grave accusa ma non potevo dire che era stato il maresciallo a dirmi quelle dicerie, lui sicuramente avrebbe negato. E allora dovetti subire io perché le prove mi incolpavano.

Da quel giorno il Direttore non mi guardava in faccia e quando andavo da lui per la firma mi guardava in un modo brutto che ancora oggi ricordo l’espressione della sua faccia. Un giorno mi disse: lei pagherà. E infatti, aveva parlato con il Procuratore che veniva spesso a trovarci in Direzione e così venni a sapere che mi voleva denunciare per diffamazione.

Giorni terribili, fu il periodo più brutto della mia carriera, ma, ironia della sorte, mi aiutarono proprio l’impresario favilla che aveva provocato tutto quel putiferio e l’impresario Galli di Lucca, i quali erano amici del Direttore e riuscirono a convincerlo di non denunciarmi.

Ma la mia carriera a Pisa era finita e così incominciai a muovermi per trasferirmi e venni a sapere che a Lucca il ragioniere voleva andare via e che l’alloggio che avevo lasciato nel 1976 era ancora vuoto.

E così incominciai a muovermi presso il Ministero per ritornare a Lucca. Ma la cosa non fu facile.

Infatti il Direttore aveva scritto al Ministero informando dell’accaduto e nello stesso tempo chiedeva la mia sostituzione con il rag. Labella di Firenze e quindi io sarei dovuto andare al suo posto a Firenze ove non c’erano alloggi demaniali.

La paura mi assalì: come avrei fatto ? lo stipendio non mi permetteva l’affitto a Firenze e così passavo notti insonni e stavo tanto male.

Un giorno venne anche l’ispezione dal Ministero, chiesta proprio dal Direttore per dimostrare che le dicerie erano infondate. Ma non fu così.

L’ispettore Sturniolo, che conoscevo ai tempi del mio trasferimento da Fossano, interrogò tutti e alla fine mi chiamò. Io raccontai come erano andate le cose e lui candidamente mi disse: senta ragioniere, in questi casi è il pesce più piccolo a partire perché se diamo ragione a lei dobbiamo procedere contro il Direttore e le cose andrebbero male. Va bene risposi, lo so che devo andare via, ma rimandatemi a Lucca dove c’è l’alloggio demaniale vuoto. Vediamo rispose, ma è difficile, il Direttore vuole il rag. Labella e va sostituito.

Fu un periodo terribile e cercai tutti i modi per trovare raccomandazioni per il Ministero. Arrivai perfino al Ministro.

Bussai a tante porte e così ala fine al Ministero trovarono la soluzione: il rag. Parisi che stava a Lucca e che veniva da Firenze, voleva ritornarci e così fecero andare lui a sostituire Labella al centro dei minorenni di Firenze e io potei andare a Lucca.

Dopo tre mesi terribili finalmente alla fine dell’anno arrivò il sospirato trasferimento a Lucca Ero sfinito, non feci salti di gioia perché ero esaurito, avevo fatto il massimo per ritornare a Lucca.

Mi telefonò il vecchio amico maresciallo Casiello dal Ministero, che mi annunciò che era stato fatto il provvedimento e poi da Lucca mi chiamò il maresciallo Solito per dirmi che era arrivato il telegramma del trasferimento.

Partii subito per Lucca e andai in segreteria dove l’app.to Marroni mi fece vedere il telegramma e festeggiammo. Sarei ritornato dai vecchi amici della Direzione di Lucca.

Il ritrasferimento a Lucca

A fine gennaio prese servizio a Pisa il rag. Labella e incominciammo le operazioni di consegne. Mi accorsi subito che era tanto pignolo, aveva tanto da dire e dissi tra me: poverino, avrà il tempo di fare il pignolo quando dovrà provvedere a tutto ?

Intanto, con il Direttore non ci parlavamo, il trasferimento me lo fece notificare dal segretario e così preparai subito a trasferire anche la famiglia e le masserizie.

Prima di andare via, mi recai nel suo ufficio per informarlo che andavo via e ci salutammo freddamente. Ma lo vidi più rasserenato, non aveva più quella faccia brutta dei primi giorni e un pò mi dispiaceva di essere andato via in quel modo da Pisa. Ero dispiaciuto perché l’unico Direttore che mi aveva fatto avere tante soddisfazioni mi aveva cacciato via. E ciò fece un solco profondo nel mio cuore e fu l’unico neo della mia carriera.

Ma come sempre mi accadeva, il tempo mi diede ragione: come dirò dopo, perché dopo due anni fu arrestato insieme al maresciallo e il personale disse: ma allora il ragioniere Canoro aveva ragione !

Ma intanto ferito nel morale e dispiaciuto, ritornai a Lucca benvoluto da tutti i collaboratori e meno male rioccupai l’alloggio che avevo lasciato due anni prima. Fui tanto fortunato.

Il Direttore (Morsello) era bravo, veniva anch’esso in missione e io ricominciai il lavoro di direttore in assenza del titolare.

Presi in consegna la cassa dal rag. parisi, il quale andò a Firenze per prendere il posto del rag. Labella, andato a Pisa.

Il Direttore Morsello propose di far venire il rag. parisi a Lucca in missione per fare il rag. capo, ma l’Ispettorato non autorizzò perché ero sufficiente io.

E così rimasi solo e ricominciai a sistemare tante cose rimaste in sospeso da Parisi.

C’erano tante fatture in sospeso da pagare perché non si sapeva chi avesse ordinato il materiale. Alla situazione debitoria aveva contribuito anche il Parisi perché per paura di sbagliare non pagava nulla.

Dopo un pò venne anche il perito del Tribunale per restituire i rendiconti che aveva controllato degli anni 77 e 78. Eh sì, in quegli anni c’era stata una inchiesta penale a carico del Direttore De Vizia, per il quale io mi trasferii a Pisa per paura che succedesse qualcosa di brutto e il mio timore risultò fondato.

Il perito disse che non aveva trovato nulla e che dalle carte non si riscontravano reati. E cosa sperava di trovare dalla documentazione dei rendiconti ? Agli ordinativi erano allegate soltanto le fatture e basta. Le relative pratiche erano archiviate nell’ufficio ragioneria, se le avesse controllate chissà cosa usciva fuori. Io non dissi nulla e pensai tra me: ma che ignorante ! ma fu meglio così, le indagini sul Direttore De Vizia, che per causa sua mi fece andare via nel 1975 per paura, furono archiviate e tutto finì nel bene.

Ma un compito arduo mi aspettava: le Ditte si lamentavano e minacciavano denunce, per cui io incominciai a pagare subito quelle fatture che sembravano a posto e poi un pò alla volta le successive. E così sistemai e aggiornai la contabilità.

Arrivò, intanto, il nuovo Direttore Dr. Truscello. Vidi subito che era alla mano e si instaurò subito un rapporto amichevole e non un rapporto formale tra Direttore e dipendente.

Riunì subito il maresciallo e me e ci parlò chiaro: trasparenza, fiducia e collaborazione massima. Era la prima volta che un Direttore faceva così.

Ripresi quindi a fare soltanto il mio lavoro di ragioniere, perché finalmente il direttore era fisso e provvedeva lui a tutte le incombenze, anche se spesso lo dovevo sostituire quando andava in ferie (in quei tempi era così previsto).

Durante l’anno mi fu affidato l’incarico di andare a collaborare al carcere di marassi a Genova ed ebbi l’occasione di lavorare in un grande carcere, dove feci altre esperienze.

Conobbi il Direttore Corallo, era uno dei pochi dirigenti, ma era un direttore freddo e senza anima dicevano. Ma mi accolse bene elogiandomi e pregandomi di offrire la massima collaborazione.

Fui entusiasto e così come sempre non tradii le aspettative e mi accorsi che il rag. capo Esposito non era granchè come esperto e spesso ero io a insegnargli qualcosa e lui mi apprezzava.

A Lucca filava tutto bene, i collaboratori erano ottimi e il Direttore era una sicurezza, mi trattava bene, scherzava e subito si instaurò una ottima amicizia.

Spesso si andava a mangiare insieme con gli altri collaboratori e il clima a Lucca divenne ottimo: c’era tanta serenità, tutti lavoravano bene perché il Direttore dava massima fiducia e “non rompeva”

E io volentieri lo sostitutivo come avevo sempre fatto nel passato in altri carceri, anche perchè ero considerato un vice direttore, mi interessavo anche di altre materie (segreteria, matricola, ecc.) e ciò mi ha giovato nel futuro quando incominciai a scrivere il mio primo libro sull’amministrazione penitenziaria.

L’inchiesta di Fossano

Il lavoro continuava bene, non c’erano problemi, i miei collaboratori facevano gran parte del lavoro e io ero contabile di cassa e nello stesso tempo firmavo gli ordinativi e buoni come addetto al riscontro contabile

In quei tempi questa duplice funzione era svolta dall’unico ragioniere dell’istituto. Soltanto nei grandi istituti c’era il ragioniere capo e il contabile.

Io continuavo ad andare a Genova, ove nel frattempo arrivarono tre ragioniere nuove e mi fu dato il compito di provvedere ai necessari insegnamenti.

Ma l’autunno fu nero perché il mio collega di Fossano, che mi aveva dato il cambio nel 1974, passò un brutto guaio e fu arrestato, mi informò la moglie piangendo. Quando uscì dal carcere dopo una decina di giorni lo contattai e mi spiegò che per una circostanza di cose risultava che gli ordini di pagamento venivano scaricati secondo l’ordine di emissione e non secondo la data di pagamento. Alcuni ordini di pagamento furono trovati a casa sua con il denaro spillato agli stessi, quindi era accusato di peculato e di falso.

In quei tempi era una prassi in tutti gli istituti secondo cui gli ordini di pagamento venissero registrati nei registri cassa in ordine cronologico e non secondo la data dell’effettivo pagamento. Tutti i colleghi facevano in questo modo e quindi anche io, perché così mi insegnarono fin dai primi anni di servizio.

Incominciai a preoccuparmi, perché nel periodo precedente al 1980 ero in servizio a Fossano e l’inchiesta si sarebbe allargata anche a me, qualora il collega avesse ammesso che la prassi era applicata da sempre..

Gli inquisitori ipotizzarono il reato di falso ideologico e fu un periodo terribile anche per me. E ciò confermava i timori che avevo sempre avuto: essere incolpati senza aver fatto nulla, cioè senza dolo, senza sapere che una determinata prassi comportasse un reato.

Arriva un nuovo ragioniere a Lucca

L’inizio del nuovo anno nel lavoro solite cose, ma l’incubo di Fossano mi affliggeva ogni giorno, mi sentivo spesso con il mio collega che mi informava sugli sviluppi della situazione. Per fortuna, per il momento, gli inquisitori non andarono indietro nei tempi, perché avrebbero dovuto controllare decenni di contabilità e mettere sotto inchiesta tutti i precedenti ragionieri e fino a che anno ?

Nel frattempo, in occasione dell’assunzione di oltre 100 ragionieri, assegnarono a Lucca un ragioniere in ogni istituto e così anche a Lucca arrivò finalmente un ragioniere nuovo di prima nomina.

Fui contento perché non sarei stato più solo, lui avrebbe preso in consegna la cassa e io potevo svolgere soltanto la mansione di ragioniere capo.

Ma questo nuovo ragioniere era un laureato, tutto presuntuoso perché pensava che la contabilità carceraria fosse facilissima per un laureato in economia e commercio e invece ebbe delle difficoltà perché non comprendeva certi meccanismi contabili.

Intanto, finii la missione di Genova perché il Provveditorato, nella persona del rag. marcelli, il rag.capo che tanto mi apprezzava, si lamentò che i ragionieri della Toscana non dovessero andare fuori della regione, ma dovessero dare una mano agli istituti della Toscana.

E così mi fece revocare la missione di genova per mandarmi a Firenze dove c’erano tre ragioniere nuove assunte che avevano bisogno di una guida, perché il rag. capo, un buono a nulla e incompetente, non aveva tempo. Ma in verità non era capace.

E così per tre giorni la settimana andavo a Firenze dove insegnavo tutto alle nuove ragioniere e quando arrivò una ispezione dovetti aggiornare tutti i registri cassa perché il ragioniere capo non l’aveva mai fatto e non sapeva farlo, così disse candidamente.

Ma io insegnai una ragioniera nuova che capì e fece tutto il lavoro.

Con il tempo mi accorgevo sempre di più che io giovane ragioniere ne sapevo di più d tanti colleghi anziani (quello di genova e quello di Firenze), i quali si rifiutavano di insegnare i nuovi ragionieri trovando sempre scuse.

L’inchiesta del carcere di Pisa – il tempo mi aveva dato ragione !

Con la chiusura dell’esercizio feci il passaggio di consegne con il mio giovane collega Martucci, al quale avevo insegnato come si teneva la cassa.

Ma questi, sempre presuntuoso, cadde in una profonda depressione e sbagliava tanti movimenti contabili perché non riusciva a capirli e io, con la mia grande calma e pazienza, correggevo.

Ma lui non guarì dalla depressione e si ammalò. Rimase fuori circa tre mesi, dopo i quali rientrò e riprese la cassa e pare che incominciasse a capire meglio.

E così fu fortunatamente e quindi potei dedicarmi completamente al mio lavoro di ragioniere capo e andare in missione sempre a Firenze.

In primavera furono assegnati a Lucca tre ragionieri di nuova nomina per un tirocinio. Dovevo insegnare loro il lavoro e tutti e tre mi dissero che ero molto conosciuto e infatti furono inviati a Lucca perché io ero considerato bravo. Un’altra grande soddisfazione.

Uno di questi tre, il rag. De Nova, rimase fisso a Lucca, mentre le altre due andarono via. Così eravamo in servizio tre ragionieri e potevo andare in giro in trasferta presso altri carceri.

E infatti fui inviato anche a Pianosa per un breve periodo, dove conobbi il collega Malavolta e trovai mio nipote Vincenzo, che era agente ed era addetto agli stipendi. Il Direttore era Contestabile di S.Maria e così feci altre esperienze in una grande colonia agricola.

In estate venne da Pisa il Direttore Forte per sostituire il mio direttore assente per ferie. Ci salutammo senza rancore, come niente fosse accaduto quattro anni prima.

Ma in autunno ci fu la bufera a Pisa, inchieste penali continue che terminarono con l’arresto del Direttore e del maresciallo, accusati di tutto.

Il Direttore lo portarono a Pistoia e io, sempre con la preoccupazione che mi caratterizzava, pensavo che lui si ricordasse di me e si vendicasse accusandomi di qualcosa, perché fui io 4 anni prima a pubblicizzare le dicerie su di lui.

Ma niente di tutto questo. Il mio educatore di Lucca andava in missione a Pistoia e gli chiesi il favore di portare i miei saluti al direttore Forte che era in cella di isolamento. L’educatore al ritorno mi disse che il Direttore aveva gradito tanto i miei saluti e che ricambiava.

Mi tranquillizzai e quindi incominciai un pò a dispiacermi che fosse in carcere per tanto tempo. In fondo mi aveva dato tante soddisfazioni, come ho raccontato prima e che se mi aveva mandato via da Pisa nel 1978, era anche un pò per mia colpa.

Intanto, da Fossano giungevano buone notizie, nel senso che l’inchiesta penale non andò oltre la gestione del mio collega e quindi non avrei avuto anche io l’accusa di falso per la prassi errata che ho raccontato prima.

Ma le mie esperienze continuarono. Un giorno mi chiamò il rag. Marcelli dell’ispettorato e mi chiese il favore se andavo a Capraia per sistemare la contabilità dello Spaccio. Accettai subito perché la cosa mi interessava, avrei fatto esperienza in una colonia agricola, diversa da quella di mamone. Tu la sai bene la gestione, mi disse, e sicuramente metterai le cose a posto.

E infatti sia a Mamone che a Fossano provvedevo io a controllare e eseguire le contabilità dello spaccio e grazie a queste esperienze ero ormai diventato un esperto. E anche a Lucca provvedevo a compilare la contabilità dello spaccio, perché nessuno la sapeva.. E ciò in seguito mi ha fatto acquistare fama a tal punto che fui chiamato al Ministero, negli anni 90, a far parte dei revisori dei conti dell’Ente di assistenza e del gruppo ispettivo degli spacci..

Ma anche a Lucca la domenica mattina si andava tutti a lavoro, come avveniva a mamone e a Fossano. C’era il Direttore, i miei collaboratori e poi allo spaccio tutti a discutere e parlare delle partite di calcio.




Di seguito riporto una foto scattata durante la festa del corpo di quell’anno. Al centro il Direttore Truscello e tutti i miei colleghi

Sempre il ragioniere Marcelli mi mandò anche a Volterra per insegnare al ragioniere nuovo assunto Eutichi, perché il rag. Rosito non aveva tempo ! E così andavo una volta alla settimana e per me era un divertimento. Lì apprendevo la contabilità delle lavorazioni, che erano attivissime, e questa esperienza mi fu utile in seguito.

La nascita del secondo figlio

Il nuovo anno iniziò con la nascita del secondo figlio e grandi festeggiamenti da parte del Direttore Truscello, che era ormai diventato un amico di famiglia.

Intanto, finì finalmente il processo di Fossano e l’amico collega Nicola fu assolto per il reato di falso perché i registri contabili non erano atti pubblici, ma registri interni e quindi il falso in atto pubblico non esisteva. Fu accettata la teoria della prassi illegittima ed ebbi un sospiro di sollievo. La paura che mi assaliva dal 1980 finalmente cessò. Purtroppo fu condannato per peculato per aver portato il denaro e gli ordini di pagamento a casa sua e non fu accettata la sua giustificazione del lavoro che si portava a casa.

Intanto, terminai la missione a Firenze perché il rag. Marcelli del Provveditorato mi dirottò a Montelupo Fiorentino, per sostituire il rag. Di gennaro, che a sua volta aveva sostituito il ragioniere capo andato in pensione.

E così conobbi un altro collega che nel futuro diventò amico perché andavamo sempre insieme al Ministero.

E a Montelupo Fiorentino feci altre esperienze. Era un ospedale psichiatrico giudiziario con delle contabilità particolari e acquisii nuove conoscenze.

Ma mi chiamarono subito le ragioniere di Firenze dicendomi: ci hai abbandonato, tu eri un’altra cosa, questo che è venuto (rag. parisi) non ci insegna nulla perché non sa. Ecco un’al-tra soddisfazione e mi chiedevo: ma come è possibile questo collega è più anziano di me e io so più di lui ?

A Montelupo Fiorentino fui incaricato di svolgere la funzione di ragioniere capo ed ero coadiuvato da un appuntato, tutto fare ma pignolo. Infatti veniva dalla scuola del ragioniere capo andato in pensione e non capiva certe semplificazioni. In ufficio c’era anche un detenuto scrivano che sembrava un robot. Eseguiva le operazioni tenendo conto delle direttive del precedente ragioniere capo e quindi anche lui pignolo.

Spesso perciò mi scontravo con loro, perché per la loro pignoleria bloccavano tutto.

Primo episodio: erano fermi da tanto tempo i rendiconti perché mancavano delle ratifiche di spese che dovevano arrivare dall’ispettorato, il quale aveva fatto dei rilievi. Io insistevo per spedirli ugualmente in modo che non sarebbero più arrivati i continui rilievi della Ragioneria regionale. Niente, il rag. capo di prima li mandava tutti insieme quando era completa la documentazione di tutti i rendiconti, mi dicevano. In sostanza, se mancava un documento in un rendiconto non inviava nessun rendiconto, anche quelli completi e a posto ! Assurdo !

E io inutilmente spiegavo loro che il problema lo creavano loro, in questo modo avrebbero ritardato l’invio dei rendiconti con sicura applicazione della prevista penale a carico del direttore funzionario delegato.

Ma dopo un pò si convinsero che il mio modo di lavorare era efficace e così li feci spedire ugualmente senza alcune ratifiche, anche perché dissi al direttore che era lui il responsabile. Non pervenne nessun rilievo e io, ancora una volta, avevo avuto ragione.

Secondo episodio: vennero tanti pensionati a lamentarsi perché non riscuotevano la pensione. Chiesi informazioni al detenuto scrivano, il quale mi disse che erano finiti i fondi e che quelli del nuovo semestre non erano arrivati. Controllai il registro delle aperture di credito e vidi che c’era ancora una rimanenza di fondi. No quella non si può toccare, mi disse, perché bisogna versare l‘irpef.

Dissi sempre ai due (l’appuntato e lo scrivano detenuto), ma signori miei facciamo stare i pensionati senza soldi e versiamo i soldi allo Stato che invece può aspettare ? ma il ragioniere capo di prima così faceva. E ora si fa come dico io, risposi arrabbiato, per eliminare il problema che avete creato voi. Ma il rag.capo di prima ci faceva fare così, mi dissero. Ci volle tanto per convincerli, ma alla fine capirono che il mio metodo risolveva il problema e i pensionati avrebbero riscosso la pensione. Il versamento all’erario dell’irpef fu effettuato dopo due mesi quando arrivarono i nuovi fondi e mai arrivò un rilievo !

Ecco due episodi che fotografavano la situazione di un ufficio che aveva tanti problemi creati dagli impiegati. Mi chiedevo: è possibile che grandi ragionieri capo si perdevano in un bicchier d’acqua, per cose che si potevano risolvere facilmente violando, in buona fede, delle disposizioni che potevano essere benissimo disattese per assicurare la pensione a gente che ne aveva bisogno. Si facevano prendere dalla paura di sbagliare e questo li fregava (e così era anche il rag.capo d Pisa che bloccava tutto di fronte a un piccolo problema).

Mentre io non avevo mai paura di sbagliare, l’importante era la buona fede e di raggiungere lo scopo di assicurare i servizi, che è poi quello che conta. Quando semplificavo le cose mi dicevo sempre: ma se se ne accorgono vedranno che l’ho fatto per il buon andamento dell’ufficio e non per interesse proprio.

E ciò mi ha caratterizzato durante la mia lunga carriera e incominciai a capire che i miei metodi erano più efficaci e che non avevo niente da invidiare ai vecchi ragionieri.

In estate nel mese di luglio mi trovavo in vacanza in sardegna come di rito e mi avvisarono da Lucca che sarebbe venuta una ispezione ministeriale. Si trattava di una ispezione ordinaria che veniva fatta in tutti gli istituti d’Italia, come aveva ordinato l’allora Direttore generale Amato. Il ragioniere era Coscione, colui che andò via da Lucca quando arrivai io..

Perciò partii subito per Lucca, sia per un senso di professionalità e sia per salutare il vecchio collega Coscione. La cassa era tenuta dal collega Martucci, il quale preparò tutto e andò tutto bene. Coscione vide un pò di pratiche e cose che trattavo io. In seguito venni a sapere che all’ufficio ispettivo di Roma furono contenti perché a Lucca non vi erano stati rilievi, al contrario di tanti istituti dove erano state trovate tante irregolarità. Da queste ispezioni “a tappeto” in tutta Italia, tanti Direttori e ragionieri furono sottoposti a procedimenti disciplinari.

E questa fu un’altra soddisfazione per me e il Direttore fu tanto contento.

Intanto continuavo ad andare a Montelupo per svolgere la mansione di ragioniere capo e sfruttai la pignoleria dell’ex ragioniere capo. Vidi in un armadio montagne di circolari mai viste e introvabili. Incominciai a copiarle e unendole a quelle di Lucca feci una grande raccolta per materie e non per anno come erroneamente facevano negli istituti. Questa raccolta di circolari per materie mi fu tanto utile quando incominciai a scrivere il mio primo libro sulla contabilità carceraria.

L’idea di scrivere un libro mi venne perché avevo sempre di più la consapevolezza che avevo fatto tante esperienze e in tanti settori, anche in quelli che non riguardavano la contabilità, grazie alle frequenti sostituzioni dei direttori. Volevo fare un libro completo diretto a tutti gli operatori e non solo ai ragionieri. Inoltre, leggendo interamente il regolamento di contabilità carceraria mi accorsi che negli istituti vi erano tante prassi errate, ereditate dai vecchi ragionieri capo che lavoravano secondo le prassi consolidate da decenni, senza chiedersi quale fosse la normativa. Capii, quindi, che i giovani colleghi dovevano sapere come fosse disciplinata esattamente la nostra contabilità.

Infatti, era molto sentita la necessità di avere una raccolta della normativa penitenziaria, in assenza di direttive dell’amministrazione. Necessità che era dibattuta nelle riunioni dell’associazione dei ragionieri, alla quale ero iscritto e partecipavo alle periodiche assemblee che venivano organizzate presso la scuola dei minorenni di Casal del marmo a Roma.

La pubblicazione del primo libro

Iniziò l’anno in cui divenni famoso in tutta Italia per la pubblicazione del mio primo libro: il Manuale dell’operatore penitenziario.

Incominciai a scrivere a macchina gli argomenti consultando le leggi e le circolari e non mi limitai a scrivere soltanto la contabilità penitenziaria, ma anche l’ordinamento del personale, perché ero convinto che un ragioniere dovesse conoscere anche tale ordinamento per poter gestire la contabilità, che abbracciava anche la materia degli stipendi, missioni, straordinario ecc.

Quando finii la prima bozza scrissi all’associazione dei ragionieri, la quale mi invitò a Roma per la presentazione del libro.

Portai le bozze che furono esaminate dai “grandi ragionieri” ed ebbi molte critiche. Innanzitutto trattandosi di bozze gli argomenti erano scritti un pò male con tanti errori e poi fui accusato di aver trattato tanti argomenti che esulavano dalla contabilità penitenziaria.

Infatti, un rag.capo della Sicilia, nel complimentarsi di avere avuto una grande idea, mi disse che ero un pò temerario, perché avevo trattato anche materie che non riguardavano direttamente il lavoro del ragioniere. Aggiunse che il lavoro sarebbe stato difficile perché specialmente la materia dell’ordinamento del personale era variabile di anno in anno e non si poteva fare un testo che dopo un pò era già vecchio.

Insomma, fu deciso che le bozze da me preparate fossero esaminate da tre “saggi” per sfoltire un pò gli argomenti.

E così fui convocato al Ministero presso l’ufficio del rag. Dell’aquila, che in seguito divenne un grande amico e cominciammo con i tre ragionieri capo a sfoltire le bozze e nello stesso tempo a correggerle.

Ma fu uno sfoltimento massiccio, eliminarono completamente l’ordinamento penitenziario e l’ordinamento del personale e tanti argomenti. Ma la verità fu, senza peccare di presunzione, che i tre saggi non erano in grado di accertare se le cose scritte delle materie suddette fossero vere o no, perchè solo io le conoscevo bene per averle apprese “sul campo” e consultate le circolari. Non peccavo di essere presuntuoso, perché effettivamente la maggior parte dei colleghi degli istituti penitenziari si interessavano soltanto della contabilità penitenziaria. Io, invece, avevo avuto tante esperienze dell’ufficio segreteria, matricola, spaccio e sapevo un pò di tutto, specialmente la gestione del personale.

Ma una grande soddisfazione fu che il testo, anche se ridottissimo per i tagli fatti dai tre ragionieri anziani, fu proposto al Ministero per farlo pubblicare dall’amministrazione e destinarlo agli istituti e alle scuole di formazione.

Di seguito riporto la presentazione del libro pubblicato dal Ministero:

Ma io sapevo che quel testo, ridotto all’osso, non sarebbe servito a niente e pensai che i colleghi avrebbero avuto bisogno di un manuale completo e dettagliato.

E così fermamente decisi di pubblicare in proprio un manuale, partendo dalle bozze che avevo portato al Ministero, anche se poi in circolazione ci fosse stato un testo di contabilità penitenziaria, sempre a mio nome. Ero sicuro che avrebbe avuto più successo un manuale completo e i fatti mi diedero ragione, come dirò dopo.

Intanto nel lavoro terminai la missione a Montelupo Fiorentino perché arrivò un ragioniere nuovo assunto, l’amico Benincasa e fui dirottato a Pistoia per insegnare alla neo assunta Elisabetta Lanza.

Un laureata in giurisprudenza che aveva difficoltà ad apprendere la contabilità carceraria e me ne accorgevo quando le spiegavo le procedure. Era proprio negata per la contabilità, ma una brava ragazza che divenne mia amica.

Ma fui inviato anche a Gorgona per insegnare a due nuovi colleghi e lì conobbi il famoso direttore Bonucci, ex ragioniere, un tipo strano. Ci faceva lavorare fino a mezzanotte, ma una sera organizzai una partita a carte con i colleghi e non andammo in ufficio dopo cena come di consueto. La mattina mi richiamò dicendomi: a canò, mi stai traviando questi ragazzi. Capii che lui la sera ci voleva tutti insieme. Ma era un grande riconoscente. Quando percepiva lo straordinario lo ripartiva tra i ragionieri e poi ogni settimana li invitava a casa sua a mangiare l’aragosta. Una sera invitò anche me.

In autunno completai il manuale e portai le bozze definitive ad una tipografia di Pisa, la quale a ottobre mi consegnò le prime copie.

Fui tanto contento, vedere sulla copertina di un libro di ben 400 pagine il mio nome e alla prima riunione dell’associazione dei ragionieri portai una decina di volumi.

Fu un grande successo, i dieci volumi li vendetti subito e tanti colleghi mi chiesero il libro e raccolsi tante prenotazioni.

Al ritorno a Lucca in ufficio era un continuo squillare di telefonate da tanti carceri. Erano i colleghi che avevano ricevuto la mia lettera di informazione e mi chiedevano il libro.

Non mi ero sbagliato. La mia idea di pubblicare un manuale di amministrazione penitenziaria e non solo di contabilità penitenziaria, ebbe successo. Ma la mia idea geniale fu che per ogni argomento citavo le leggi e le circolari che negli anni avevo raccolto per materia.

E questa caratteristica conferì al testo la forma di una guida completa che era molto sentita da tutti gli operatori, anche perchè il Ministero non forniva in modo organico le disposizioni per ogni argomento.

Ero soddisfatto, anche perché da ottobre a dicembre vendetti circa 500 volumi !

Intanto nel lavoro in ufficio rimasi solo con il rag. De Nova, perché Martucci aveva vinto il concorso di direttore degli aeroporti e fu assegnato a Udine. Raggiunse finalmente il suo scopo di svolgere la funzione di Direttore. Aveva ragione, era laureato e non poteva fare il ragioniere.

Ma il giovane collega de Nova era un pò sfaticato. Si assentava spesso e meno male che i collaboratori erano bravi, così il lavoro andava avanti bene.

Il primo corso di formazione come “docente” e l’incarico di Pianosa

Divenni subito famoso, tanti colleghi si rivolgevano a me per chiedere chiarimenti sul lavoro e ricevevo tanti complimenti.

Ma era in arrivo un’altra grande soddisfazione.

Venne un giorno a Lucca la Dr.ssa Culla, la direttrice della Scuola di formazione di Roma e vedendomi mi fece i complimenti per il libro e mi disse che mi avrebbe chiamato al corso degli assistenti sociali come docente di contabilità generale dello Stato.

Non ci credevo e mi chiedevo, ma sarà vero ? io un ragioniere a fare il docente ad un corso di formazione di personale appena assunto nell’amministrazione.

La convocazione arrivò subito e fui tanto contento, ma preoccupato nello stesso tempo.

Ce l’avrei fatta ? mi chiesi. Ma mi sentivo preparato nella materia e ciò mi diede coraggio.

Partii per Roma per la prima lezione e dovetti affrontare un centinaio di assistenti sociali raccolti in una grande sala e tutti agitati perché erano stati inviati al corso senza avere avuto un anticipo di fondi per la trasferta e subito il presentatore del corso mi chiese di spiegare il motivo del mancato pagamento degli anticipi.

Presi coraggio perché dovetti affrontare un argomento di cui ero molto preparato, ma mi fu difficile far capire a persone non qualificate nel settore che essendo all’inizio dell’anno le Direzioni non erano ancora in possesso di fondi di bilancio per pagare gli anticipi di missione. E loro: ma non è giusto che anticipiamo le spese. E avevano ragione. Il solito problema irrisolvibile che ancora oggi esiste.

Dopo incominciai a descrivere i vari argomenti di contabilità generale, ma ero poco seguito, perché l’argomento era un tabù per persone laureate in sociologia, psicologia ecc. E così scendevo un pò nei particolari facendo riferimento alla vita penitenziaria e in questo modo mostravano più interesse.

Successivamente ritornai e discussi la materia della responsabilità del personale. Terminai in anticipo perché non potevo approfondire la materia con degli esempi, in quanto gli allievi avevano una formazione professionale diversa dai ragionieri.

Fu un disastro, mi chiamò la direttrice del corso tutta arrabbiata e io mi scusai dicendole che per quel giorno non avevo altri argomenti pronti da discutere.

Purtroppo ero inesperto, era la mia prima esperienza e quando ritornai per un’altra lezione la direttrice mi disse che aveva cambiato programma e che aveva tolto la materia della contabilità.

E così finì la mia partecipazione di docente al primo corso e rimasi tanto deluso, ma nel futuro fui richiamato a tanti corsi per i ragionieri ed ebbi tanto successo.

Intanto nel lavoro a Lucca svolgevo sempre la missione a Pistoia per insegnare alla nuova ragioniera.

Le vendite dei libri, nel frattempo, andavano a gonfie vele. In ufficio ero sempre impegnato al telefono, mi chiamavano tanti colleghi, ma anche personale del corpo di polizia penitenziaria, il quale era anch’esso interessato al Manuale perché trattava argomenti che interessavano gli agenti.

Spesso mi ordinavano il libro i collaboratori dei ragionieri dicendomi che se lo compravano personalmente perchè il ragioniere non voleva comprarlo. Strano. Tanti colleghi, infatti, non accettavano il fatto che avessi fatto un manuale che spiegava tutte le procedure contabili. Qualcuno disse: io non ne ho bisogno. Qualcun altro disse: ma questo ragioniere non aveva niente da fare ? Altri si arrabbiarono perché li avevo messi in difficoltà. Infatti, i collaboratori con il mio libro dimostravano al loro ragioniere che aveva sbagliato. Addirittura qualche collega contestava il proprio Direttore dicendo: ma canoro cita una circolare che dispone tutto il contrario di come vuole fare lei. E il Direttore rispondeva: ma Canoro non fa legge. Acchè il collega reiterava: ma come, Canoro cita la circolare e il Direttore: si fa come voglio io, senza ammettere di avere torto !

Ma la maggior parte dei colleghi e altri operatori apprezzarono il mio lavoro: alcuni, anche anziani, ammisero che finora pensavano di sapere tutto e non immaginavano che esistessero degli argomenti mai conosciuti. Eh sì, grazie alla mia esperienza in tutti i tipi di istituti penitenziari, io trattai tutti gli argomenti. Ad es. la gestione delle foresterie era nota soltanto nelle colonie agricole, ma sconosciuta a colleghi anziani che avevano prestato servizio soltanto in istituti ubicati nelle città. Trattai il servizio del vitto detenuti in economia, sconosciuto a tanti che avevano contatto soltanto con le imprese di mantenimento. Trattai degli alloggi demaniali, una materia poco conosciuta dai ragionieri.

Insomma avevo fatto una guida completa che serviva, ma nello stesso tempo avevo causato anche contrasti tra collaboratori e ragioniere e tra il ragioniere e il Direttore.

Quindi la mia idea che, in un primo tempo, fu tanto contrastata dai colleghi anziani dell’associazione dei ragionieri, non era infondata, avevo pubblicato un libro che interessava tutto il personale e descriveva tutte le procedure, cosa che mancava in quei tempi per l’assenza di direttive del Ministero.

Ma in autunno ebbi un cattivo incarico: missione continuativa a Pianosa insieme ad altri due colleghi: quello di Massa e quello di Volterra (Rosito). Dovevo abbandonare Lucca e restare sempre a Pianosa, ma io ritornavo a fine settimana per continuare anche il lavoro di Lucca.

A Pianosa era successo una tragedia: il contabile era sparito con circa 800 milioni. C’era stata una ispezione ministeriale che fu condotta dal rag. Dell’Aquila, mio amico.

Io e i due colleghi in missione dovevamo sistemare le contabilità e così io con il collega della cassa accertammo un diverso ammanco da quello accertato con l’ispezione ministeriale. Lo comunicammo al Ministero, ma non ci credevano, diffidavano dei nostri accertamenti. Arrivò l’ispezione della Ragioneria regionale di Firenze e anche l’ispettore diffidava dei nostri accertamenti. Assurdo !

In sostanza, dalla gestione del collega scomparso con i soldi risultavano emessi ordini di pagamento per gli stipendi al personale al lordo delle ritenute, ma non vi erano i corrispondenti ordini di riscossione delle ritenute stesse. Io e il collega della cassa li preparammo per far quadrare le varie gestioni (mensa agenti, prestiti, ecc.) e in tal modo l’importo dell’ammanco variò. Per noi del mestiere era chiaro questo movimento contabile, ma non era chiaro a quelli del Ministero (e come poteva essere chiaro se erano funzionari che non conoscevano a fondo la contabilità della cassa).

Ma, dopo, i fatti ci diedero ragione perché l’anno successivo arrivò l’ispettore del tesoro, come dirò dopo.

Successivamente la missione da continuativa fu ridotta a 4 giorni la settimana e così ebbi più respiro. Partivo per Pianosa con la nave il mercoledì e ritornavo il sabato. Erano 4 giorni in cui si lavorava dalla mattina alla sera e meno male c’erano tanti colleghi e la sera ero sempre in compagnia. Si girava per l’unica strada dell’isola e spesso il vento e il mare forte ci faceva stare chiusi in casa a parlare o a giocare a carte.

Mi vennero in mente le serate passate a mamone nel mio primo anno di servizio.

L’arrivo del rag. Avella

L’anno contabile incominciò come al solito e io dovevo pensare a fare la chiusura anche a Pianosa, insieme al collega Rosito che faceva il rag. capo, anche se in missione.

Intanto il collega di Lucca De Nova incominciò a dirmi che sarebbe andato via perché aveva vinto un concorso presso il Comune di Napoli.

E incominciai a preoccuparmi. Come avrei fatto da solo ? Non potevo andare più a Pianosa dove ormai mi piaceva andarci perché avevo tante soddisfazioni, facevo tanta esperienza che arricchiva il mio libro, il quale veniva acquistato da tanti agenti del posto.

Ma a Pianosa venne l’ispettore del tesoro per l’ammanco del 1985 e fu terribile, controllò tutto e alla fine si arrabbiò con Rosito e con me perché non eravamo stati capaci di stabilire con esattezza a quali capitoli di bilancio si riferisse l’ammanco. Una cosa impossibile, ma l’ispettore non capiva che ciò non era possibile in quanto non si trattava di un ammanco di gestioni contabili, ma di un vero e proprio furto. Spiegai all’ispettore che in cassa non c’erano i fondi divisi per i capitoli di bilancio e per le gestioni extrabilancio e che i soldi appropriati erano solo una parte dei valori che stavano in cassa, quindi come si faceva a stabilire l’importo esatto per ogni capitolo.

Niente, l’ispettore non capiva o non voleva capire e si arrabbiava con noi: Diceva: io devo portare al Ministero l’elenco degli importi per ogni capitolo di bilancio e solo in questo modo il Ministero del tesoro invierà i fondi per ripianare l’ammanco.

A questo punto io e Rosito capimmo quale era il problema dell’ispettore e io proposi di risolvere il problema a modo mio, cioè in modo risolutivo senza danneggiare la contabilità, tanto l’importante era che fossero arrivati i fondi e così sarebbe stato eliminato il buco della cassa.

Perciò con il collega della cassa stilammo un elenco di importi per ciascun capitolo in modo che questi si riavvicinassero, ma non coincidere perché impossibile, con i fondi che erano in rimanenza all’epoca del furto. Il totale complessivo lo “facemmo quadrare” con il totale dell’ammanco e portammo il tutto all’ispettore.

Ecco, lo dicevo che si poteva fare l’elenco, avevo ragione e noi tutti approvammo ma in silenzio ridevamo.

E così come promesso arrivarono i fondi dal Ministero del tesoro e tutto si appianò.

Questo episodio dimostra che nella nostra contabilità penitenziaria tante volte occorre trovare dei sotterfugi che, anche se all’apparenza appaiono irregolari, raggiungono lo scopo di sistemare le contabilità che in modi più regolari non verrebbero appianate.

Le mie gite a Pianosa continuarono anche se ero solo a Lucca, perché come accennato il collega de Nova andò via e dovetti prendere la gestione della cassa. Erano giorni duri. Lavoravo come un matto. Anche la domenica andavo a lavoro, come sempre, per preparare le pratiche che lasciavo ai collaboratori da fare quando ero a Pianosa.

Ma il lavoro aumentava sempre più perché a Pianosa fu revocato l’incarico del collega Rosito, forse proposto dal Direttore Pallotta che non gradiva tanto il Rosito e propose me all’Ispettorato di assumere la funzione di ragioniere capo e disse candidamente al telefono: “Canoro è un’altra cosa”

E infatti, Rosito aveva un brutto carattere, trattava male i collaboratori e molti si lamentavano. Cercava di controllare tutto ma io, da esperto di colonie agricole, gli dicevo che era inutile perché in una colonia agricola è impossibile controllare tutto, bisognerebbe stare in servizio 24 ore su 24 e mettere telecamere dappertutto. Ma lui non mi dava ascolto, però i fatti mi diedero ragione.

Arrivò l’incarico e io assunsi la funzione di ragioniere capo e firmavo i tutoli di spesa come addetto al riscontro contabile.

In quel tempo non mi resi conto della grande responsabilità che mi assumevo, ma non avevo paura, ero sicuro di me di svolgere il lavoro bene.

A Lucca intanto il Direttore Truscello si dava da fare per far arrivare un altro ragioniere perchè da solo non potevo stare, altrimenti avrebbero dovuto revocarmi la missione a Pianosa con grave danno economico. Questo il Direttore lo capiva e siccome mi voleva tanto bene non fece nulla, anzi si prodigò per far venire un altro ragioniere.

E per mia fortuna arrivò: Avella Giuseppe, un ragazzo non ancora trentenne, con due anni di servizio, inesperto e quindi dovetti anche a lui insegnare tante cose.

Nei primi tempi si dimostrava disponibile, ma in seguito si assentava spesso, stava sempre male e andava sempre al suo paese in basilicata ed era sempre nervoso.

Ma meno male che i collaboratori erano bravissimi e facevano quasi tutto.

Il secondo corso di formazione dei ragionieri

Ma l’anno nuovo iniziò con l’avvento del computer in casa mia, ad opera del mio primo figlio che mi insegnò ad usarlo. Comprai il primo computer: il mitico commodore 64 e un programma di scrittura e così mio figlio mi insegnò a scrivere il nuovo manuale con quel programma.

Imparai subito e tutte le sere per alcuni mesi ricopiai tutto il libro (circa 500 pagine). Era come un gioco: copia, taglia, incolla e così impostai meglio il libro e corressi tante parole grazie al correttore automatico.

E così pubblicai la seconda edizione del Manuale, scritta interamente con il computer commodore 64. Ed ebbe tanto successo quanto la prima e tutti a richiedermela perché erano interessati ad una edizione aggiornata e meglio impostata.

Intanto andavo sempre a Pianosa ove svolgevo la funzione di ragioniere capo. Arrivarono 3 ragioniere di nuova nomina e dovetti insegnare anche a loro. L’inverno fu duro, spesso sulla nave, che partiva alle ore 8,30 da Piombino e arrivava alle 11,30, soffrivo un pò quando il mare era mosso, ma la mia esperienza di mare mi faceva superare le avversità. Purtroppo qualche volta il mare era agitato e la nave non partiva oppure partiva e tornava indietro senza approdare a pianosa..

Nel lavoro solita routine ma con il collega Avella c’erano sempre scontri, avevamo due caratteri diversi, ma era il periodo del grande Napoli calcio e tutto ci univa, negli uffici, nello spaccio era un continuo tifo, al quale si univa anche il Direttore.

Un grande amico che stava vicino a tutti a tal punto che un giorno andammo io e Avella nel suo ufficio, dopo un ennesimo scontro, e il Direttore per calmare gli animi disse: ma che gol ha fatto maradona ieri, non vi pare ? E scoppiammo tutti a ridere.

Ecco, nella mia lunga carriera penso di non aver visto mai un Direttore così psicologo che sapeva calmare i collaboratori in contrasto. Lui non conosceva inchieste, accertamenti, cercava sempre la soluzione con la comprensione. Tutti lo volevamo bene e davamo tutto di noi quando ci chiedeva di sacrificarci per qualcosa.

Ma un’altra soddisfazione arrivò: il conferimento dell’onorificenza di “Cavaliere al merito della Repubblica”. Mi chiamò il Direttore e scherzando come sempre mi chiamò “cavaliere”. Ma sta scherzando ? No, è vero, ecco la pergamena e ora andiamo allo spaccio a bere. C’era anche il maresciallo Solito, un altro grande amico.

Ancora altra soddisfazione, mi chiamò la direttrice Culla dalla Scuola di formazione di Roma e mi propose di fare il monitore al prossimo corso dei ragionieri di nuova nomina. Accettai subito, non speravo più che mi chiamasse dopo l’esperienza brutta al corso degli assistenti sociali del 1985.

Il primo giorno di lezione tutti gli allievi si avvicinarono a me, molti non mi conoscevano ancora e alcuni mi dissero: finalmente ho conosciuto il famoso Canoro. Infatti, grazie alla pubblicazione del libro, venduto in quasi tutti gli istituti d’Italia, ero diventato famoso.




Di seguito riporto una foto del corpo docente e al centro la direttrice Dr.ssa Culla

E così ogni 15 giorni stavo una settimana intera a Roma per svolgere il compito di monitore, cioè affiancare e guidare gli allievi durante le lezioni dei docenti e nel pomeriggio fare esercitazioni pratiche.

Io portai tanto materiale, modelli di contabilità per spiegarne la compilazione e la direttrice fu entusiasta. Gli altri due colleghi monitori, più anziani ed esperti di me, non portarono nulla. Eravamo divisi in tre gruppi e, senza peccare di presunzione, gli allievi del mio gruppo erano contenti di avere me come monitore perché i colleghi degli altri gruppi non scendevano nei particolari della contabilità penitenziaria e gli insegnamenti erano un pò generici. Io invece approfondivo tutti gli argomenti, grazie all’esperienza della pubblicazione del libro.

Dovetti, però, un pò trascurare Pianosa dove ci andavo ogni 15 giorni.

Di seguito riporto una foto con i miei allievi

Terremoto nel servizio sanitario

Con l’inizio del nuovo anno continuavo ad andare a Pianosa dove l’ambiente si era rovinato a causa del nuovo maresciallo che era un tipo poco raccomandabile. Incominciai a preoccuparmi e ad avere paura e così dissi al Direttore che non me la sentivo più di svolgere la funzione di addetto al riscontro contabile.

E così senza alcuna opposizione da parte del Direttore, il quale non mi chiese neanche il motivo della rinuncia, inviammo la lettera di variazione alla Banca d’Italia.

Intanto a Lucca il lavoro andava bene, anche se con qualche contrasto con il collega Avella, il quale, in verità, si lamentava che io non c’ero mai a Lucca, ero sempre in giro e aveva ragione, ma non si accorgeva che io quando rientravo recuperavo il lavoro, andando in ufficio anche la domenica mattina, come sempre. E ciò lo facevo per essere aggiornato nel lavoro e per non dare motivo di lamentele.

Ma un giorno mi chiamò il Direttore comunicandomi con tanto sorriso la lode del direttore generale. Non ci credevo, ma come, il grande Direttore generale Nicolò Amato mi aveva fatto la lode per la partecipazione al corso dei ragionieri. Un’altra soddisfazione che si aggiungeva alle altre.

E ancora, mi chiamò la dr.ssa Culla dicendomi se ero disposto a partecipare ad un altro corso dei ragionieri, sempre come monitore. Accettai volentieri, potevo mai rifiutare ?

Ma questa volta era diverso. A me e altri due colleghi anziani ci chiesero di andare una settimana prima per preparare un elenco di adempimenti di ragioneria, da spiegare poi agli allievi nel pomeriggio quando avremmo fatto le esercitazioni.

Per me fu facile, utilizzai il libro, ma gli altri due colleghi dimostrarono che non si ricordavano tutto e così dissi a loro che avrei atto io l’elenco. Sembrava strano che due collegi anziani, tanto famosi, non sapessero tutti gli adempimenti. Ma io grazie al mio manuale non ebbi difficoltà.

Incominciò il corso e come al solito, tanti allievi ragionieri si mostrarono entusiasti di avermi conosciuto e molti chiamavano il mio libro “ la Bibbia

Fu un corso molto duro e faticoso, andavo a Roma a settimane alterne. La mattina accompagnavo i docenti (magistrati, professori universitari, direttori di carceri) e con loro e gli allievi si discutevano anche problemi di amministrazione e spesso intervenivo per far capire meglio, in pratica, agli allievi i concetti teorici, mentre nel pomeriggio facevamo esercitazioni pratiche e si discuteva della pura contabilità penitenziaria.

Un mio pregio, che apprezzavano gli allievi, era che per ogni argomento io citavo le esperienze pratiche vissute personalmente o da altri colleghi nei loro istituti. E ciò faceva capire meglio la contabilità penitenziaria nei minimi particolari.

Per tale motivo gli allievi del mio gruppo mi ringraziavano e mi dicevano: siamo stati fortunati a stare nel gruppo da te capeggiato, perché i nostri colleghi degli altri gruppi si lamentano dei loro monitori. Ebbeh, ciò mi confortava e consolidava il mio convincimento che anche se ero giovane, non avevo niente da imparare dai colleghi anziani.

Chi legge può accusarmi di presunzione, ma giuro che gli allievi così parlavano.

Ma le mie conoscenze andavano oltre la contabilità carceraria, invadevo anche altri campi (gestione del personale, gestione dei detenuti) che indirettamente interessavano la predetta contabilità e spesso gli allievi mostravano interesse.

Ciò mi fece pubblicare anche una dispensa: “Le assenze dal servizio del personale penitenziario”, in cui raggruppavo tutte le disposizioni in materia di assenze per categoria di personale. Un lavoro risultato poi utilissimo poiché in circolazione vi erano soltanto testi settoriali, invece la mia dispensa raggruppava le disposizioni per tutte le categorie del personale penitenziario.

Una opera assai ricercata dagli operatori degli uffici segreteria e del personale del Corpo che era assetato di conoscere i loro diritti.

Ma improvvisamente arrivò una ispezione sanitaria da Roma, condotta dall’ispettore Innocenti, il quale trovò tante irregolarità nel servizio sanitario. Risultò che le guardie mediche non svolgevano tutte le ore previste, mentre nelle parcelle indicavano le ore stabilite dalla convenzione. Io purtroppo mi fidavo dei prospetti che mi preparava l’infermiere Gavarretti, uomo fidato e serio, e ogni mese pagavo le parcelle senza mai fare un controllo nei registri di ingresso (e in quei tempi chi li faceva ? non c’erano ancora i cartellini marcatempo), né il Direttore aveva incaricato un responsabile per il controllo delle ore effettivamente espletate.

Mi scontrai con l’ispettore in verifica perché mi accusò che io dovevo controllare i registri di ingresso ! prima di pagare. Ovviamente aveva una mentalità antica disconoscendo che è il Direttore che deve attestare le ore espletate (come avviene per lo straordinario).

Ma parallelamente c’era anche una inchiesta penale in corso, a me sconosciuta, a carico dell’infermiere Gavarretti e del sanitario incaricato, perché il primo svolgeva tutti i compiti, anche quello del sanitario, spacciandosi con i detenuti di essere lui il dottore e il secondo non veniva mai al lavoro perché se la sbrigava tutto l’infermiere che prescriveva addirittura anche i farmaci.

Io non sapevo nulla di queste cose e una mattina arrivai in ufficio e seppi la notizia che erano stati arrestati sia l’infermiere che il sanitario.

Un terremoto, il Direttore aveva paura che implicassero anche lui.

Ma successivamente al processo furono tutti assolti e finì bene per tutti. Come sempre il giudice delle indagini preliminari aveva esagerato e sicuramente aveva puntato i due indagati che fece arrestare senza pietà.

Questa esperienza mi fece capire che non bisognava avere fiducia di nessuno e da allora mensilmente alle parcelle veniva allegato, a cura dell’infermeria, un prospetto delle entrate e delle uscite delle guardie mediche, firmato dal Direttore e dal comandante.

E così tornò la normalità.

La pubblicazione del Funzionario delegato dell’A.P.

Le esperienze dei corsi mi risultarono molto utili, infatti gli allievi con le loro numerose richieste di chiarimenti, mi facevano approfondire la materia della contabilità penitenziaria e non solo. Anche la contabilità generale, grazie ai docenti della Corte dei conti che davano lezioni sui contratti, sulla responsabilità dei dipendenti, sul bilancio dello Stato.

E ciò mi diede l’idea “temeraria” di pubblicare un testo sul funzionario delegato dell’ammi-nistrazione penitenziaria. L’idea mi venne quando approfondii la lettura del testo “Il funzionario delegato” pubblicato da un funzionario della Ragioneria regionale di Bologna.

Mi accorsi che era incompleto per la mia amministrazione penitenziaria perché era generico per tutte le amministrazioni e non trattava le disposizioni particolari per i carceri.

E così pensai di pubblicare anche io un testo sul funzionario delegato, arricchendolo delle disposizioni particolari dell’amministrazione penitenziaria.

Avrei intaccato la suscettibilità del Direttori, ma ciò mi divertiva e mi sentivo forte di farcela e di pubblicare un testo che facesse conoscere ai Direttori le proprie responsabilità.

Infatti, in pratica il ragioniere capo svolgeva molti compiti che erano istituzionalmente propri dei Direttori e questi ultimi erano convinti che il ragioniere fosse responsabile degli adempimenti che svolgeva in sostituzione del Direttore, il quale indirizzava la propria attività maggiormente per il personale e per i detenuti.

Nel testo sottolineavo i vari compiti e a chi spettavano e ciò suscitò polemiche con i Direttori, ma ottenni un grazie dai colleghi per aver fatto presente le responsabilità dei Direttori in materia di contabilità.

Il testo ebbe un grande successo perché da tanti istituti mi veniva ordinato e anche da alcuni Direttori che riconoscevano il lavoro fatto da me.

Ma il riconoscimento mi venne dalla dr.ssa Culla, la quale mi chiamò a fare il docente al corso dei Direttori. Non mi sembrava vero. Io, un ragioniere avrei dovuto fare il docente di contabilità penitenziaria a dei Direttori che non erano neo assunti, ma con anzianità anche decennale.

Fui entusiasto dell’incarico e lo considerai un riconoscimento dell’amministrazione per le mie pubblicazioni.

Ma il corso non era come quello dei ragionieri, era un seminario cui parteciparono soltanto una ventina di Direttori e le lezioni diventarono delle discussioni sui vari problemi della contabilità penitenziaria.

E mi fu più facile perché non dovevo parlare di teoria, ma soltanto di argomenti pratici, ai quali tutti erano interessati e facevano richieste di chiarimenti.

Fu una esperienza unica.

Per quanto riguarda il lavoro al carcere, tutto scorreva bene nonostante le lamentele continue del collega Avella. In parte aveva ragione: non c’ero mai. Spesso partivo il lunedì e tornavo il sabato. Ma quando ritornavo lavoravo come un matto per recuperare e aggiornarmi ed ero costretto (ma ormai era diventata una regola) ad andare anche la domenica mattina in ufficio.

Spesso mi vedeva il Direttore Truscello e mi chiamava: cavaliere ma che fa in ufficio, venga allo spaccio facciamo una partitina a carte. E io malvolentieri, ma contento, andavo e lasciavo tanto lavoro urgente.

Che Direttore ! Unico direi.

Un altro riconoscimento del mio impegno nel lavoro, davo il massimo e spesso trascuravo la famiglia, la vedevo soltanto in pochi giorni la settimana..

Sempre nel 1989 fui chiamato a far parte di una Commissione che doveva indicare i criteri per stabilire i tempi operativi delle diverse procedure amministrative. Io mi occupai di quelle di contabilità, gli educatori per le loro e gli assistenti sociali anche.

Il lavoro fu difficile, ma io ebbi lo spunto per stilare un elenco di adempimenti di contabilità che mi diede l’idea di pubblicare la dispensa “Adempimenti di ragioneria e relativo scadenzario”.

Era in pratica un mansionario dei ragionieri, da tempo invocato da tutti noi ragionieri, sin dai tempi delle riunioni dell’Associazione dei ragionieri.

La condanna e la sospensione del Direttore

Ormai stavo lasciando l’incarico di Pianosa, anche perchè erano stati assegnati alcuni ragionieri ed ero anche un pò stufo, dopo cinque anni di traversate marittime, di affrontare problemi irrisolvibili.

I miei continui incarichi al Ministero a Roma erano più importanti di Pianosa, dove le cose non cambiavano mai, sempre problemi, arretrati da smaltire, ecc..

Inoltre, nel 1990 incominciarono i numerosi convegni organizzati dal Ministero, perché il grande Direttore generale Nicolò Amato intendeva spesso riunire tutte le categorie per discutere dei problemi dell’amministrazione.

Il primo fu svolto a Rimini e io fui scelto in rappresentanza della Toscana. Non ero un sindacalista, ma fui scelto perché conosciuto come un ragioniere serio e capace e poi le mie pubblicazioni mi avevano reso famoso in tutta Italia e al Ministero innanzitutto.

Ma al convegno parlarono i sindacalisti e io e i miei colleghi ci limitammo ad ascoltare interventi lunghi e noiosi (quelli del Direttore generale duravano circa tre ore).

Nel frattempo a Lucca fu assegnata una coadiutrice, la moglie di Avella. In un primo tempo il Direttore la inserì in segreteria, ma siccome si ammalava sempre la trasferì nel mio ufficio perché era ragioniera. E infatti, era brava, capiva subito le cose e mi alleggerì tanto del mio lavoro.

Ma nel 90 non furono soltanto rose e fiori,. Infatti accadde una cosa brutta al mio Direttore Truscello. Io non ero a conoscenza che fosse indagato per cose serie e mi accennò che aveva un processo penale in corso. E un giorno, come un fulmine a ciel sereno, fu condannato dal Tribunale e dopo pochi giorni sospeso dal servizio.

Finì il periodo del migliore Direttore che avevo avuto, un amico e non un direttore.

Ma, per fortuna, non avvertii tanto il cambio perchè lo sostituì il vice direttore Cerri, che era in servizio a Lucca dal 1984, il quale era un amico e quindi non ci fu un cambiamento nella Direzione per quanto riguardava i rapporti con l’ufficio ragioneria. Anche lui lasciava fare e non intralciava il lavoro e nè si intrometteva.

In autunno fu organizzato un altro convegno in provincia di Lucca al Ciocco, con la collaborazione del Direttore del mio carcere.

E anche lì fui invitato a rappresentare la Toscana e ritrovai il collega Nocera dopo tanti anni (dal 1969 quando andai a Mamone di prima nomina) Ci ritrovammo più anziani e vidi che lui non era cambiato, sempre freddo e distaccato.

C’era anche la dottoressa Culla, la direttrice della scuola di Roma che si fermò a parlare con me.

Ma una sera durante un lungo intervento del Direttore generale furono chiamati al palco tutti i rappresentanti delle diverse categorie di personale e io fui chiamato per i ragionieri.

Non ci credevo, io ero seduto nella platea insieme ad alcuni colleghi anziani, i quali mi dissero: vai che hanno chiamato te. Salii timidamente sul palco della Presidenza e mi sedetti vicino all’educatore e a un assistente sociale. Il Direttore generale prima di iniziare il solito lungo discorso disse: ho voluto chiamare un rappresentante per ogni categoria di personale …….

Mi sentii in paradiso, io un ragioniere ancora giovane chiamato ad esempio per la categoria e vidi le facce dei colleghi anziani che esprimevano ovviamente invidia.

La missione a Piacenza

Nel nuovo anno interruppi la missione a Pianosa perché mi arrivò quella di Piacenza. Il provvedimento arrivò dal Ministero e io dovevo collaborare la ragioniera che era sola (Tizzano Anna, che ancora adesso si ricorda di me).

Accettai anche per conoscere la regione dell’Emilia e mi trovai subito a risolvere il contrasto che c’era tra il Direttore Nave e la ragioniera Tizzano. Ognuno sparlava dell’altro e io dovevo ascoltare tutte le loro lamentele.

Ma io come sempre ascoltavo tutti e cercavo di mitigare i contrasti e nello stesso tempo smaltivo il lavoro con la ragioniera.

Nell’anno non ebbi altri incarichi e ciò mi fece un pò respirare e dedicarmi al lavoro e all’aggiornamento dei miei testi.

Preparai un’altra dispensa: “Modi di compilazione dei modelli di contabilità carceraria”. Anche questo fu un lavoro unico, perché per ogni stampato spiegavo cosa andava inserito in ogni colonna. Ciò era invocato da tanti colleghi, i quali spesso mi chiedevano come andava compilato un modello di contabilità.

Inoltre, il mio continuo girare in missione e i continui chiarimenti che mi chiedevano i colleghi in materia di trattamento di missione e trasferimento, mi accorsi che c’era confusione tra la normativa del personale amministrativo e quella del personale del Corpo. E ciò mi diede l’idea di pubblicare un’altra dispensa: “Raccolta delle leggi sulle missioni e trasferimenti”

Fu un lavoro mostruoso. Riepilogai per argomento tutta la normativa vigente per ciascuna categoria di personale dell’amministrazione penitenziaria: amministrativo, dirigente, polizia penitenziaria, cappellani e sanitari.

Anche questo fu un lavoro unico, perché nel testo famoso del Funzionario delegato del funzionario della Ragioneria dello Stato di Bologna, vi era la descrizione delle disposizioni in materia di missioni e trasferimenti del solo personale amministrativo.

Io ci aggiunsi le disposizioni particolari vigenti per il personale del Corpo di polizia penitenziaria e fu un lavoro completo ed ebbe grande successo.

Ormai ero diventato uno scrittore: tre testi e diverse dispense. Per questo motivo forse fui chiamato a partecipare a un gruppo di studio per la pubblicazione di un testo “Gli operatori penitenziari”, al quale parteciparono la dr.ssa Culla, direttrice della Scuola di formazione, l’ex direttore dell’Ufficio del personale, il Dr. Di somma, dirigente della segreteria della Direzione generale e il direttore della Giustizia minorile. Io ovviamente dovevo preparare la parte del ragioniere penitenziario e ne fui entusiasto. Era la mia materia e mi misi subito al lavoro. Facemmo alcune riunioni e la mia bozza la mandai all’ex capo del personale che aveva contattato anche una famosa casa editrice. Ma passò del tempo e non se ne fece più nulla. Né fu pubblicato un libro così intitolato. Non ho mai saputo il vero motivo dell’abbandono del progetto.

Docente al corso degli educatori e il direttore assolto

Continuavo ad andare a Piacenza, dove i contrasti non si risolvevano, ma io facevo da paciere pur sapendo che avendo loro un carattere forte, nessuno cedeva e quindi non c’erano speranze.

A Piacenza intanto fu assegnata una ragioniera, alla quale insegnai qualcosa nel poco tempo che avevo a disposizione e poi venne in missione anche il collega amico Mottola Guglielmo, con il quale approfondii tanto l’amicizia che ancora ora ci lega.

Un giorno andai con lui a Brescia, ove era assegnato in servizio e lì incontrai dopo tanti anni il vecchio amico collega Moscariello, conosciuto nel 1970 a Mamone e che tanto mi aveva insegnato.

Ci abbracciammo forte e ricordammo insieme l’esperienza di Mamone, le scemate del Direttore. Fui tanto contento di rivedere colui che mi aveva insegnato all’inizio della mia carriera e lui mi sfotteva: mi hai superato, sai più di me ora e io lo ringraziavo.

Durante l’anno fui chiamato nuovamente alla scuola di formazione di Roma per partecipare come docente al corso degli educatori.

Fu un’altra soddisfazione, ma ebbi un pò di difficoltà perché mi trovavo davanti persone che non intendevano bene la contabilità per avere una diversa formazione professionale e così incominciai a scendere nei dettagli della contabilità penitenziaria, facendo anche esempi pratici, in particolare il lavoro dei detenuti. In tal modo mostrarono un pò di interesse.

Al corso partecipò come allieva l’educatrice di Lucca: Nicoletta e ciò mi diede soddisfazione.

Nell’anno mi arrivò anche l’incarico di andare a Volterra a dare una mano al collega giovane Eutichi, che conoscevo già dal 1981, in una precedente missione.

A Volterra ci andavo volentieri, erano tutti amici.

Arrivò poi una bella notizia per il direttore Truscello, che intanto era stato riammesso in servizio in un altro carcere. La Corte di appello lo assolse per insufficienza di prove e così si chiuse bene il suo capitolo con la giustizia. E mi chiesi: ma come fu possibile la condanna in primo grado ? Parlando con lui e altri appressi che spesso i giudici condannano per “libero convincimento”, senza che vi fossero le prove. E ciò lo fanno quanto “puntano” un inquisito. E quindi: guai chi ci capita !

Intanto, pubblicai un’altra dispensa: “Il regolamento di contabilità carceraria, coordinato e aggiornato” Sembrava una cosa inutile perché non era altro che il testo integrale del regolamento emanato nel 1920, ma io lo aggiornai con le poche modifiche intervenute dopo il 1920 e lo arricchii di note in calce agli articoli, descrivendo la situazione attuale e le norme ormai superate.

Quindi risultò una cosa utilissima perché l’amministrazione centrale distribuiva sempre copie del regolamento nel testo integrale, senza apportare le modifiche intervenute.

Intanto, a Sulmona fu indetto un convegno sulla contabilità penitenziaria, alla quale parteciparono tanti ragionieri di ogni parte d’Italia e io fui inviato per redigere la relazione: L’area amministrativo contabile: realtà e prospettive.

La preparai scrivendo i vari problemi che vi erano in quell’epoca. Infatti, a seguito di una riforma del pubblico impiego tutti i ragionieri erano stati inquadrati nel settimo livello che non prevedeva la funzione di ragioniere capo addetto al riscontro contabile. Funzione che era prevista per l’ottavo livello, al quale si accedeva con concorso e laurea.

Erano legittime le proteste perché in pratica svolgevamo i compiti di ragioniere capo, ma senza avere il livello retributivo corrispondente e i Direttori remavano contro perchè volevano che a capo dell’area amministrativo-contabile ci fosse un laureato e non un ragioniere.

E gran parte degli anni novanta furono caratterizzati da questa grande lotta tra noi e i Direttori che rappresentavano l’amministrazione in tutti i settori e quindi le nostre richieste erano sempre respinte.

A Sulmona ci furono tanti interventi sull’argomento, ma non fu risolto niente, solo chiacchiere.

Ma io un risultato lo ottenni: conobbi il personale che insegnava agli allievi agenti e ciò mi fu utile perché l’anno successivo il mio primo figlio svolse il corso di allievo proprio a Sulmona. Incontrai anche il collega Malavolta, che avevo conosciuto anni addietro a Pianosa e ricordammo insieme le esperienze fatte in quell’isola.

Verso la fine dell’anno terminai di andare a Piacenza, non perché la missione fosse stata revocata ma perché il provvedimento era senza scadenza e non potevo andarci sempre. E poi ero impegnato a Volterra dove mi piaceva andarci, era più vicino

Mio figlio primo al corso allievi di polizia penitenziaria – il primo stipendio pagato dal papà

Continuavo ad andare a Volterra e a Lucca solita routine. Ma una tegola si abbattè nell’ufficio ragioneria.

Mi chiamò l’amico collega del Prap, Di gennaro, per informarmi che aveva avuto l’incarico di fare una verifica di cassa a seguito di una richiesta da parte del Procuratore della Repubblica di Lucca. Cosa era successo ? Una lettera anonima, ovviamente, ma per fortuna non era per noi ragionieri, ma per un agente dell’ufficio matricola che utilizzava i fondi depositati nell’ufficio per fini propri per poi rimetterli..

Andò tutto bene, non mancava niente e così Di Gennaro e il Provveditore andarono dal Procuratore a riferire che non avevano trovato nulla.

L’inchiesta finì, ma aveva toccato l’onestà dell’ufficio ragioneria. Una cosa spiacevole anche se era finita bene. Era la prima volta che ero stato ispezionato dai superiori, perché la prima ispezione era ordinaria e indirizzata a tutti i carceri.

Ma nell’anno ebbi la grande soddisfazione di mio figlio che fu arruolato nel Corpo di polizia penitenziaria.

Lo accompagnai alla Scuola di casal del marmo di Roma, ove io spesso ero andato a fare i convegni dei ragionieri, ma non mi fecero entrare e quindi aspettai fuori del cancello con tanta ansia.

Verso mezzogiorno incominciarono a uscire i primi ragazzi bocciati e meno male mio figlio non c’era. Passò un’ora e tanti ragazzi uscirono perché erano stati bocciati e mio figlio niente, non usciva, quindi le mie speranze che fosse arruolato aumentarono.

Finalmente lo vidi uscire tutto contento, era fatta. Non mi sembrava vero, era entrato nel Corpo di polizia penitenziaria e per me fu una grande soddisfazione.

A marzo fu chiamato per andare alla scuola di Sulmona. Una fortuna, lì conoscevo qualcuno e diedi a lui un pò di libri da portare alla scuola.

Fu accolto bene perché seppero che era figlio del ragioniere canoro e lo assegnarono all’uf-ficio della scuola, addetto al computer perché lo sapeva maneggiare bene. Quando ritornò per le ferie mi disse che volevano comprare tutti il mio libro: gli allievi, il personale della Scuola ecc.. Gliene diedi una ventina !

Finalmente arrivò il tempo degli esami. Nella commissione, che coincidenza, c’era il direttore Coscione, l’ex ragioniere cui diedi il cambio a Lucca, il direttore Pallotta, che avevo conosciuto a Pianosa, e la dr.ssa Culla, presidente, la direttrice della scuola di Roma, che tante volte mi aveva chiamato ai corsi di formazione.

All’esame mio figlio andò ottimamente, prese il massimo dei voti e si classificò addirittura primo e grazie a questa classifica potè scegliere la sede di servizio che fu, ovviamente, Lucca, cioè a casa sua. Che soddisfazione per un padre che lavorava nella stessa amministrazione.

A giugno ci fu il giuramento e io, ovviamente, andai a vederlo.

Entrai in Direzione e salutai la direttrice Culla, la quale mi disse: è venuto a vedere suo figlio ? Poi vidi il direttore Pallotta, il quale si complimentò dicendo che mio figlio si era classificato primo non perché era conosciuto, ma per meriti suoi. Lo ringraziai tanto.

Ma fui contento quando riabbracciai l’amico Coscione, il quale mi trascinò e mi portò sul palco delle autorità. Ero emozionatissimo. Vedevo mio figlio che l’avevano messo di picchetto davanti al palco perché era il numero “uno” del corso, sentiti il discorso della direttrice Culla e poi tutti gli allievi gridarono “Lo giuro”

Una soddisfazione ed una emozione grandissima.

Dopo qualche giorno mio figlio arrivò a Lucca e prese servizio. Fu accolto bene da tutti perché era cresciuto “nell’ambiente carcerario” dove io alloggiavo da anni con la famiglia.

Nei primi mesi fu addetto al servizio a turno, ma dopo ci fu un posto vacante all’ufficio matricola e il Direttore Cerri lo assegnò lì e in breve tempo si fece valere e venne utilizzato anche per riparare i computer dell’amministrazione.

Ero un padre soddisfatto, avere il proprio figlio in ufficio nella stessa amministrazione e, bellissimo fu il giorno del primo stipendio. Io sostituivo il collega alla cassa e la sorte mi riservò una grande gioia.

Mi trovai a tenere la cassa nel mese di agosto e, per pura coincidenza, dovetti pagare io il primo stipendio a mio figlio. Immortalai subito il grande evento con una foto e desiderai avere al mio fianco la mia collaboratrice Antonella, cui volevo tanto bene e con la quale mi frequentavo anche con la famiglia.

Ma dopo tante gioie e soddisfazioni, una pillola amara dovevo ingoiare: quella del pericolo di lasciare l’alloggio demaniale. Infatti, per la prima volta arrivò una circolare che dispose di fare una graduatoria generale per accertare i requisiti per occupare gli alloggi. La paura mi assalì, fece la richiesta anche altro personale e mi assalì la preoccupazione di non entrare nella graduatoria utile per la riassegnazione degli alloggi. Fu un periodo brutto, preso dall’ansia e dalla paura.

Ma per fortuna andò tutto bene, grazie all’anzianità di servizio nella sede.

Verso la fine dell’anno ci fu l’avvicendamento dei Direttori, andò via Cerri, per andare a Pianosa e arrivò la direttrice Ortenzio, l’ex educatrice che conobbi nel 1980 insieme alla grande amica Tina, anch’essa direttrice, ma poi passata alla Prefettura, dove fece una luminosa carriera.

Cerri a Pianosa reclamò me e così fui mandato un’altra volta in missione. Fu un ritorno che mi attraeva, ma anche per fare un favore a Cerri, cui volevo molto bene.

L’arrivo del nuovo Direttore: Verde Umberto

L’anno fu scosso da un grande avvicendamento tra la Direttrice Ortenzio, la quale mi stimava molto e il direttore Verde Umberto, mandato via da Massa perché rompeva a tutti.

Aveva la fama di un rompiscatole e pignoloi. Ero disperato, io abituato ad avere sempre direttori che mi stimavano e mi apprezzavano. Ma i primi mesi furono tranquilli perché il nuovo direttore si mostrò tranquillo e amico.

Intanto, fu organizzato un nuovo convegno del personale dell’amministrazione a Palermo, esattamente ad Altavilla Milicia, un posto incantevole, un residence a 5 stelle, sul mare.

E io fui invitato a farne parte, perché ormai ero diventato il ragioniere più famoso d’Italia, così mi dicevano i colleghi e anche il personale di altre categorie.

Ma un episodio mi fece un immenso piacere. Al ricevimento per l’attribuzione delle camere, mi fu data una stanza insieme ad altri colleghi, ma intervenne una funzionaria del Ministero, la quale corresse e mi assegnò in una camera riservata allo staff organizzativo, una camera a 5 stelle. Ella disse: ma il famoso ragioniere Canoro non possiamo metterlo insieme agli altri, deve stare con i grandi. Una grande soddisfazione. La camera era come una suite, a fianco a quella della ragioniera De Paolis del Ministero, mia amica e grande stimatrice di me.

Furono quattro giorni meravigliosi, vi era la piscina, mare meraviglioso e mangiare pesce della sicilia.

Un giorno fui invitato al tavolo dello staff organizzativo, al quale si sedeva il grande Direttore generale Nicolò Amato. Era usanza che ad ogni pranzo e cena questi volesse al tavolo un rappresentante del personale e così quel giorno fui chiamato dal Direttore Di Somma, che mi conosceva bene e che era un collaboratore diretto del Direttore generale.

Ero emozionatissimo, al tavolo c’era il fior fiore dell’amministrazione e io timido non pronunciai una parola, ma il Direttore generale tra risate varie fece il tris di un vino siciliano e io timidamente dissi che era il terzo bicchiere e lui ridendo disse: si vede che lei è un ragioniere.

E poi una sera fui invitato ad una cena organizzata dai ragionieri della sicilia. C’era anche il grande amico Dell’Aquila e l’amica De Paolis, segretaria dell’Ente di assistenza. Nel corso della cena, ottima per i tanti piatti siciliani, i colleghi ci dissero: abbiamo invitato voi tre perché siete i più famosi e abbiamo tanto da apprendere da voi.

Intanto finii la missione a Pianosa e mi feci avanti per Gorgona, ove avevano bisogno. Ero amico del ragioniere De troia, il quale mi chiamava sempre per chiarimenti e un giorno gli dissi che ero libero e lui subito disse vieni a Gorgona che mi dai una mano. La cosa mi attraeva, ero ormai esperto di colonie agricole e così la Direzione di Gorgona mi richiese al Provveditorato e fui inviato per 4 giorni a settimane alterne. E così iniziò una missione di durata lunga (circa 10 anni).

Nel corso dell’anno fui chiamato a Messina alla scuola di formazione del personale dei minorenni. Fu un corso interessante, al quale partecipavano Direttori e ragionieri degli istituti per minorenni. Fu una bella esperienza perché erano di fronte i Direttori funzionari delegati e i ragionieri e quindi le lezioni si svolgevano tra accese discussioni.

Ma il lavoro a Lucca cambiava. Il nuovo Direttore incominciò a rompere e guardava tutto, leggeva tutta la posta che portavo alla firma e si fermava spesso a sottolineare “la virgola” che secondo lui era storta.

Da quell’anno cambiò il modo di lavorare, non mi sentivo più sereno, mi sentivo sempre sotto inchiesta dal Direttore. Dopo 25 anni di sereno lavoro, apprezzato da tutti i Direttori, mi sentivo messo in discussione da un Direttore che era tanto pignolo. Ma non si trattava di una pignoleria giusta ed efficace, bensì una pignoleria mirata a colpirmi e a colpire il “mito di canoro”. Eh sì, tutti mi chiamavano il “mitico canoro” e ciò forse dava noia al Direttore.

Infatti, spesso davanti a problemi irrisolvibili lui mi diceva: lei è ritenuto tanto bravo, risolva il problema e chiaramente gli dicevo che lui era il Direttore e che lui doveva risolverlo perché io non avevo il potere che aveva lui !

Insomma, sempre discussioni anche su piccole cose e non lavoravo più serenamente come negli anni precedenti. Ogni volta che ritornavo da Roma l’indomani trovavo sempre problemi e il Direttore mi faceva pesare il fatto che il giorno precedente non c’ero.

La nomina di componente del Collegio arbitrale di disciplina

Dall’inizio dell’anno continuavo ad andare a Gorgona, ove provvedevo a spedire i rendiconti fermi da dieci anni. In verità, erano già stati predisposti ma mai spediti e allora io li rividi per vedere se mancava qualcosa e li spedii anche se in effetti qualcosa mancava.

Tanto l’importante era rispettare l’adempimento e che poi se mancava qualche carta, si cercava meglio e si inviava. Ma intanto si evitava l’applicazione della penale a carico del funzionario delegato.

Perciò rassegnai le contabilità in modo da non avere più rilievi per il lungo ritardo e poi aspettai eventuali osservazioni della Ragioneria dello Stato, che arrivarono, ma non per tutti i rendiconti e un pò alla volta fu sistemato tutto.

Il Direttore fu contento perché finalmente erano stati inviati 10 anni di rendiconti, per i quali era stato minacciato di pagare la penalità prevista. E così come spesso era avvenuto nella mia carriera, avevo risolto il problema dei rendiconti che non venivano inviati per pignolerie ingiustificate, causate da paure di avere rilievi per mancanza di qualche documento. Ma l’importante era quello di assolvere l’adempimento ed evitare penalità e in seguito se fossero arrivati rilievi si potevano risolvere con il tempo. Ecco, questo era il mio modo di lavorare che risolveva subito i problemi, mentre tanti colleghi per paura di avere rilievi bloccavano gli adempimenti !

In primavera mi arrivò l’incarico di partecipare ad un seminario che si svolgeva al corso dei ragionieri. Dovevo presentare la relazione: proposte di riforma della contabilità carceraria.

Gli allievi erano circa una ventina e la discussione avvenne in una camera unitamente al vecchio amico Dell’Aquila.

Preparai la relazione sulla base delle relazioni presentate alle riunioni dell’associazione dei ragionieri degli anni 80. Tanto le cose non erano cambiate e le proposte erano sempre le stesse.

In autunno mentre mi trovavo alla Casa mandamentale di Castelnuovo Garfagnana mi telefonò il direttore del personale del Provveditorato di Firenze, mio vecchio amico, il quale mi accennò che dal Ministero cercavano un componente per il Collegio arbitrale di disciplina, un funzionario che fosse esperto in tutte le materie dell’amministrazione. Accettai ovviamente, anche se non ero al corrente di che si trattasse. Ma l’incarico mi soddisfava e poi sarei andato spesso a Roma.

Mi trovavo alla casa mandamentale perché era previsto che il Direttore ed il ragioniere della casa circondariale, cui la casa mandamentale era collegata, curassero l’amministrazione. Si trattava più che altro di una piacevole gita, durante la quale il Direttore si mostrava più amico di quanto era in Direzione.

E in quel giorno mi arrivò anche una telefonata dal collega Giovanni Mosca, rappresentante sindacale, il quale mi annunciò felice che il Capo del dipartimento aveva firmato il decreto con cui anche per i ragionieri si applicasse l’art. 40 della legge 395/90.

Tale articolo fu oggetto di accesissime lotte perché equiparando anche noi ragionieri alle Forze di polizia, sarebbe stato possibile il passaggio al livello superiore senza concorso e così avremmo avuto il giusto riconoscimento per le mansioni superiori che svolgevano i capi area. Ciò avrebbe evitato di far arrivare un ragioniere laureato che avrebbe svolto le funzioni di ragioniere capo.

Ma a fine anno, inaspettata, arrivò a Gorgona una ispezione del tesoro e quando andai feci la conoscenza con l’ispettore, il quale mi disse che mi conosceva “di fama” Controllava tutto e fece tanti rilievi. Mi accennò che altri ispettori sarebbero andati in altri istituti carcerari della Toscana e ciò mi preoccupò perché capii che sarebbe venuta l’ispezione anche a Lucca.

La preoccupazione era fondata dal fatto che quel tipo di ispezione, che durava oltre un mese, avrebbe comportato a sicuri rilievi, usuali in tutti gli istituti, ma essi avrebbero causato malcontento al Direttore di Lucca, che avrebbe “goduto” leggendo i rilievi fatti “al ragioniere più famoso d’Italia”, pur sapendo che i rilievi fatti da tali ispettori erano ricorrenti in tutti gli istituti.

La prima ispezione del tesoro e l’assunzione nel carcere del secondo figlio

Il timore di una ispezione era fondato ma non mi aspettavo che arrivasse tanto presto: il 3 gennaio, cioè dopo la domenica di capodanno. Io avevo la cassa perché il collega era come al solito assente per le ferie natalizie.

Dovevo ancora fare la chiusura dell’esercizio e l’ispettore non voleva che la facessi perché non era più il 31 dicembre e non si potevano emettere titoli per tale data.

Invano cercai di fargli capire che ciò era normale, considerando che il 31 era fine anno ed era impossibile chiudere i conti, perché la gestione dei fondi dei detenuti si chiude alla sera dell’ultimo giorno del mese ! Ma lui non capiva, non si rendeva conto e io insistevo con calma che non potevo lavorare la sera del 31, cioè a fine anno ! Ma quando mi accorsi che lui incominciò ad arrabbiarsi capii che era meglio fare come voleva lui. Così facemmo la verifica di cassa inserendo nel verbale tanti sospesi che lui non mi fece sistemare emettendo ordini di riscossione e di pagamento con la data del 31/12.

Per fortuna andò tutto bene e così dopo qualche giorno dopo la verifica, quando lui si occupò di altre cose, insieme al mio collega, che intanto era ritornato dalle ferie, feci la chiusura dell’anno emettendo i titoli di spesa con la data 10 gennaio 1996 per il 31 dicembre 1995.

Fu una mia idea in quanto l’esigenza dei conti giudiziali comportava che i pagamenti e le riscossioni avessero la data del 31 dicembre. Non li feci neanche vedere all’ispettore, il quale per i circa 40 giorni che rimase a Lucca non controllò più la cassa e così fu tutto sistemato con la chiusura dell’esercizio.

L’ispettore si collocò in una apposita stanza e scriveva sempre. Ogni tanto ci chiedeva qualcosa. L’unica paura che mi assalì fu quando si accorse che nella gestione del sopravvitto alcuni prezzi di vendita non corrispondevano a quelli della tabella ufficiale. Fece il rilievo e chiese chiarimenti e io mi allarmai: se avesse voluto infierire poteva anche fare una denuncia penale per truffa e io per alcuni giorni ero terrorizzato. Meno male ci pensò il Direttore a chiarirgli che si era trattato un errore da parte dell’agente addetto al sopravvitto, che fece anche una apposita dichiarazione in merito. L’ispettore la acquisì ma fece ugualmente il rilievo.

Ma durante ispezione che durò circa 45 giorni vi furono due avvenimenti.

Uno familiare: il matrimonio del mio primo figlio.

Uno extra lavoro: la citazione di tecnico di parte al processo di Cagliari a carico dei ragionieri di Is arenas.

Quest’ultimo incarico lo accettai volentieri perché mi stuzzicava e perché la ragioniera era stata accusata di falso per la solita prassi illegittima di registrare nel libro cassa gli ordini di pagamento con la data dell’emissione e non con la data di effettivo pagamento. Identica cosa era accaduto a Fossano nel 1980, quando il collega amico Cappabianca fu accusato di falso ideologico.

La ragioniera mi ospitò in albergo e a cena e così ebbi anche occasione di visitare Cagliari.

L’indomani andammo al Tribunale e cosa piacevole: il giudice aveva il mio libro sultavolo e mi interrogò accennando al fatto che io nel Manuale scrivevo proprio questa prassi illegittima in tutti gli istituti. Non capiva tanto, ovviamente, e cercai di spiegare la prassi in modo più elementare e alla sua domanda: ma in tre mesi (pagamenti emessi il 31 marzo per il versamento degli avanzi anticipazione e pagati a giugno) i soldi dove erano ? la ragioniera poteva utilizzarli per sé ? E allora spiegai che i soldi erano conservati nella cassa di riserva, ma non essendoci stata mai una verifica di cassa, non poteva affermarsi con certezza se i soldi mancavano o no in cassa.

Fu un interrogatorio lungo ed ebbi difficoltà a far capire i movimenti contabili, anche perché mi trovavo di fronte a persone che professionalmente non erano in condizione di capire a fondo.

Ripartii per tornare in sede e dopo qualche giorno mi telefonò la collega dicendomi tutta felice che era stata assolta. Fui contento quanto lei, perché era giusto così e non si contavano i ringraziamenti. E per me fu ovviamente una grande soddisfazione.

Non raccontai nulla all’ispettore del tesoro che era in verifica a Lucca, per paura che anche lui si mettesse a controllare il modo di registrazione nel libro cassa. Eh sì anche a Lucca c’era quella prassi, ma dopo la eliminai dicendo al collega che doveva scaricare nel registro cassa i pagamenti con la data di effettivo pagamento.

Ma durante l’anno una tegola cadde addosso: l’aumento del canone dell’alloggio demaniale. Una legge del 1994 imponeva di determinare i canoni a libero mercato e il funzionario del demanio si mostrava felice di applicare la normativa anche per gli alloggi del carcere.

Invano feci presente che andava applicata un’altra normativa che prevedeva l’equo canone per gli alloggi delle Forze di polizia, invocando anche il famoso art. 40 della legge 395/0, che equiparava il personale alle Forze di polizia.

Era duro, non voleva capire e così inviai il quesito all’amministrazione centrale, la quale in estate fece pervenire una nota di sospensione dell’applicazione dell’aumento del canone. Ma feci anche un quesito all’agenzia del demanio di Firenze, la quale dopo qualche mese rispose accettando per fortuna la normativa dell’art. 40 suddetto.

Tutto fu risolto, ma quanta paura. E come dire, anche in questo caso ebbi ragione !

Intanto, la cosa lieta fu la prima partecipazione al Collegio arbitrale di disciplina. Eravamo circa 40 persone, tra sindacalisti e rappresentanti dell’amministrazione (io facevo parte di quest’ultima categoria). Furono formati i gruppi e il mio era presieduto dall’ex capo del personale, dr. Ciccotti, persona conosciuta da tempo, il quale subito mi pubblicizzò tra gli altri componenti.

Facemmo le prime riunioni e capii quale fosse stato il lavoro: dovevamo decidere sui ricorsi presentati dagli impiegati amministrativi che avevano subito una sanzione disciplinare. I ricorsi erano presentati non solo dal personale penitenziario, ma anche dal personale dell’amministrazione giudiziaria (cancellieri, ufficiali giudiziari, ecc.)

Era una esperienza bella che mi fece apprendere tante conoscenze anche dell’amministra-zione della giustizia, ma ebbi occasione di trovarmi di fronte a tante ingiustizie, specialmente nei confronti di colleghi sanzionati ingiustamente dai Direttori. Ed io cercavo sempre di trovare il cavillo per far eliminare la sanzione disciplinare.

Intanto il mio secondo figlio fece domanda nel servizio civile e fu assunto presso la comunità di S.francesco che svolgeva compiti di volontariato nel carcere di Lucca e così anche lui entrò al lavoro con il compito di guidare i detenuti all’uso del computer. Il primo figlio continuava, invece, a lavorare nell’ufficio matricola ed era considerato un ottimo elemento, tanto che informatizzò alcune attività del servizio di matricola.

Arrivò il mese di novembre e il 21 novembre festeggiai il compleanno di 50 anni. Ebbi una felice sorpresa perché gli impiegati della Direzione organizzarono una riunione durante la quale mi diedero un regalino (un porta carta in argento). Mi chiamarono dicendomi che mi voleva il Direttore e quando andai nella stanza tutti a farmi gli auguri, ma la sorpresa fu che sul tavolo ci fosse una torta grande in forma di isola con scritto su: gorgona e art. 40.

Non me lo aspettavo: era vero che tutti i giorni io parlavo sempre di Gorgona e del famoso articolo 40 che era oggetto di accesi scontri con i Direttori del Ministero.

Fu una bella festa durante la quale vidi il Direttore contento (poche volte sorrideva, era sempre arrabbiato nei miei confronti).

Quando andai via incrociai anche il Direttore che andava a casa e gli dissi che la sera partivo per Roma e lui: ancora ! Ecco, brontolava sempre, voleva che io non mi muovessi da Lucca e ciò mi faceva stare sempre di malumore, nonostante gli incarichi di prestigio.

Dopo mi arrivò un incarico prestigioso: la nomina a collaboratore del gruppo ispettivo del Dipartimento. Grazie al collega ministeriale Dell’Aquila, fui incluso nell’elenco del personale di collaborazione dell’ufficio ispettivo generale. In sostanza ero stato nominato collaboratore al seguito dei dirigenti che svolgevano ispezioni in tutti gli istituti d’Italia.

Ma l’incarico mi diede un pò di preoccupazione perché avrei dovuto girare per l’Italia e assentarmi dal carcere per settimane intere e ciò avrebbe accresciuto il malumore del Direttore, il quale si lamentava sempre che io a Lucca non c’ero mai.

Ma il lavoro mi attirava, avrei fatto esperienze uniche, avrei conosciuto situazioni terribili di altri carceri e la mia esperienza e preparazione professionale mi avrebbe dato coraggio.

E infatti, a dicembre mi arrivò subito l’incarico della mia prima ispezione: casa reclusione di Massa. Uno scherzo del destino: dovevo ispezionare la contabilità della mia grande amica Francesca Culla e della amica direttrice Emilia Ortenzio, entrambe amiche della mia ragioniera di Pisa del 1977 Tina Scirè.

Mi chiamò il capo dell’ufficio ispettivo, il quale mi disse di andare subito mentre lui sarebbe venuto l’indomani.

Chiamai la collega per preparare la verifica della cassa alla presenza della direttrice Ortenzio, anche lei amica da anni. Feci le verifica e altre cose ordinarie della gestione e quando venne il Capo mi disse che il carcere era una isola felice, che non c’erano problemi. Infatti, lui ispezionò tutti gli altri servizi mentre io soltanto quello contabile. Poi venni a sapere che il motivo dell’ispezione non era contabile ma organizzativo, perché la direttrice lasciava un pò a desiderare per le lamentele del personale.

Terminò la mia prima esperienza nel migliore dei modi. Buttai giù la relazione rappresentando ciò che avevo controllato e la mandai al Capo del gruppo ispettivo.

Nomina a revisore dei conti dell’Ente di assistenza

Il nuovo anno incominciò con una ispezione presso la casa circondariale di regina coeli di Roma. Il dirigente, la dottoressa Faramo, mi chiese di andarci appena dopo la befana senza avvisare nessuno. Invano cercai di spiegarle che all’inizio di gennaio la contabilità di cassa era ancora sospesa per la chiusura dell’anno precedente, ma lei non poteva comprendere le difficoltà che avrei incontrato e si giustificò dicendo che dovevamo fare una sorpresa. E così la mattina presto piombammo a regina coeli e con il Direttore andammo nell’ufficio cassa.

Il mio timore era fondato, non avevano ancora fatto le operazioni di chiusura dell’anno e in cassa di riserva c’era oltre un miliardo in contanti, che purtroppo dovevamo contare.

Trascorsi tutta la mattinata a fare la verifica di cassa, che impresa e che lavorone. Ma stranamente la cassa quadrò e, meno male, finì tutto bene.

Nei giorni successivi il dirigente si recava all’interno per controllare il servizio sanitario, che era il vero scopo dell’ispezione, e io ero in ragioneria a controllare un pò tutto e scoprii l’irregolarità della mensa. Infatti la Direzione pagava le diarie all’impresa sulla base del foglio di servizio degli agenti e non in base all’effettiva partecipazione degli agenti alla mensa.

Dovetti fare il rilievo e la Direzione subito fece cambiare il modo di contabilizzare le presenze.

L’ispezione durò quasi due mesi, ma ci andavamo a settimane alterne per 4 o 5 giorni.

Alla fine buttai giù una lunga relazione che la dirigente corresse a modo suo e io lasciai stare per farla contenta.

Ma nell’anno mi arrivò un altro incarico di prestigio: la nomina a revisore dei conti dell’Ente di assistenza del personale penitenziario. Mi chiamò la collega De Paolis, la quale mi conosceva da anni e non dimenticò il mio apporto che mi chiese quando lei era a Rebibbia ed ebbe dei problemi per lo spaccio. Mi disse che ero uno dei pochi ragionieri esperti nella contabilità dello spaccio e aveva ragione: fin dai primi anni di servizio avevo fatto sempre il revisore dei conti e spesso compilavo personalmente i rendiconti perché i gestori non sapevano farlo. Mi scelse insieme all’amico De Gennaro del Provveditorato di Firenze, anch’egli esperto, e al rag. Boldrini Ciro di Viterbo.

In sostanza dovevo partecipare alle riunioni trimestrali del Collegio dei revisori dei conti dell’Ente per la verifica della gestione. Presidente era un magistrato della Corte dei conti, in servizio al Dipartimento e il componente esterno era un funzionario della Ragioneria centrale del Ministero.

Quando facemmo la prima riunione io non sapevo che fare, come del resto gli altri, e insieme redigemmo una relazione di verifica della gestione, verifica che fu molto superficiale e generica. Ci limitammo soltanto a controllare le spese dell’Ente, senza entrare nei dettagli, anche perchè in una mattinata non c’era il tempo necessario.

Ma verso la fine dell’anno dovevamo relazionare sul bilancio preventivo che doveva essere presentato alla rituale riunione del Consiglio di amministrazione. In verità preparò la relazione la De Paolis, che era la segretaria dell’Ente e noi ci limitammo ad apportare delle correzioni.

Ma mi sentii in paradiso quando partecipai la prima volta alla riunione del Consiglio di amministrazione dell’Ente. Vidi per la prima volta tutti “i personaggi” dell’amministrazione: il Capo del Dipartimento in persona, il vice Dr. Di Somma, un generale e tanti altri funzionari di nome del DAP.

Mi sentivo piccolo, io semplice ragioniere anche se famoso e mi sedetti a fianco all’amico collega De Gennaro e Ciro Boldrini. Nessuno di noi intervenne, soltanto il nostro Presidente prese la parola per illustrare la relazione da noi predisposta.

Alla fine tutte strette di mano e uscii dalla aula soddisfatto e felice.

Durante l’anno partecipai anche alle riunioni del Collegio arbitrale di disciplina presso il Ministero, le quali erano molto accese perché si discuteva della conferma o meno delle sanzioni disciplinari inflitte ai dipendenti che avevano fatto ricorso. Io intervenivo soltanto per i ricorsi a me affidati e leggevo la relazione che preparavo a casa. A volte ero contestato, forse perché la materia della contabilità penitenziaria non era ben conosciuta da loro e dovevo dimostrare la fondatezza della mia decisione di conferma o non del ricorso.

Era anche questa una bella esperienza e cominciai a girare il Ministero della giustizia e fare discussioni anche con personale non del Dipartimento.

Insomma, erano incarichi ministeriali di alto livello che mi davano enorme soddisfazione.

Ma alla fine dell’anno cadde una tegola sulla categoria dei ragionieri: l’abolizione del famoso art. 40 che era stato oggetto da anni di tante contrasti con i Direttori, ma anche per questi ultimi fu abolito l’articolo e così anch’essi ritornarono nel comparto Ministeri insieme ai ragionieri, educatori, ecc. Erano anche loro semplici impiegati appartenenti alle qualifiche funzionali, come noi ragionieri ed educatori.

L’ispezione a Bologna

E l’anno cominciò con una triste notizia per la categoria dei ragionieri. Fu bandito il concorso per l’ottavo livello riservato soltanto ai laureati. Io come tutti i ragionieri eravamo inquadrati nel settimo e svolgevamo mansioni superiori da sempre e perciò ritenemmo questo concorso una ingiustizia.

Partecipai ad una riunione a Firenze per discutere sul problema che si era creato. Eravamo tutti avvelenati e molti proposero di non fare più nulla nell’ufficio. Acchè io accennai che qualcosa dovevamo fare essendo collaboratori del Direttore e ciò accese le ire dei miei colleghi che erano accecati dalla rabbia per la critica situazione.

Ma io come sempre ero più obiettivo e vedevo la situazione da un lato più pratico. E qualcuno mi accusò che io facevo gli interessi dei Direttori. Ma cosa dobbiamo fare allora ? leggere il giornale ? Il Direttore ci fa l’ordine di servizio e noi dobbiamo eseguirlo, anche se illegittimo, perché siamo suoi collaboratori. Niente, non capivano, erano accecati mentre io ero avevo una visione più ampia della situazione.

Ma per fortuna il concorso era sempre rinviato e così nel 1998 non se ne fece nulla.

Io ero disperato, perché quando sarebbero stati nominati i vincitori sarebbe stato sicuramente assegnato a Lucca un funzionario di ragioneria laureato e di prima nomina, il quale avrebbe dovuto dirigere l’ufficio ragioneria al mio posto, anche se inesperto e io avrei dovuto insegnarli le cose da fare ? Una cosa assurda, dopo 30 anni di onorato servizio.

Ma i colleghi al Ministero manovravano per far slittare sempre il concorso sperando in una riforma del personale.

Intanto, proseguivo ad andare a Gorgona e a Roma per le riunioni del Collegio dei revisori dei conti e dell’Ente di assistenza del personale. A gorgona fu assegnata in missione anche la ragioniera Lucia Buongiorno e il marito. La prima prese in consegna la cassa e lavorava bene e io a darle i consigli, ma il marito non faceva nulla, né sapeva qualcosa, andava sempre allo spaccio a leggere il giornale, per lui l’incarico era una vacanza !

Poi mi chiamarono a Castiglione delle stiviere per partecipare al corso dei funzionari delegati e io dovevo spiegare i compiti e le responsabilità. Prima di partire l’ennesima litigata con il collega Avella, il quale voleva fare anche lui il capo area per riscuotere l’indennità. Andammo dal Direttore e questi si mostrò favorevole, anche perché non gli ero simpatico. Feci le mie osservazioni e per il momento non se ne fece nulla.

Mi misi in viaggio per Castiglione dello stiviere, ma assai turbato del litigio e della situazione che si era creata. Infatti, essendo tutti e due del settimo livello, ma io con maggiore anzianità, poteva benissimo accadere che fossi ritornato contabile e il collega molto più giovane a dirigere l’ufficio. Avrei dovuto fare battaglia chiedendo aiuto all’associazione sindacale e avrei avuto sicuramente ragione. Ma non se ne fece più nulla, forse perché la logica fece abbandonare l’idea al direttore e al collega.

Intanto arrivai a Verona e presi il treno verso Brescia dove mi aspettava la macchina di servizio per portarmi a Castiglione, dove non c’era nessuno e ciò aumentò la tristezza dovuta al litigio della mattinata e al lungo viaggio.

Il corso si espletò in un giorno e ci fu poco tempo per approfondire tutti i quesiti che mi presentavano gli allievi direttori.

Poi mi arrivò l’incarico di una nuova ispezione ministeriale: Bologna.

Andai insieme al dirigente Quattrone, un burbero buono, con cui strinsi amicizia. C’era anche il generale Russo e il dirigente sanitario del Dipartimento.

Mi lasciarono solo a fare la verifica di cassa e, a differenza dell’ispezione di Roma, ero più libero e autonomo.

L’ispezione durò circa due mesi ma ci andavamo a settimane alterne e alla fine compilai una lunga relazione, che sia Quattrone che il generale accettarono.

Nell’anno non ci fu nessun corso, ma la direttrice della scuola di formazione volle organizzare l’esecuzione di un progetto per la ristrutturazione dei corsi di aggiornamento del personale e nominò una apposita commissione di studio, di cui fui nominato anche io.

Gli altri componenti erano la collega De Paolis, il collega Angelucci e Ciro Boldrini.

Facemmo una relazione un pò generica suggerendo le cose da fare e poi finì tutto lì, non se ne fece più nulla.

Nell’anno ebbi anche un’altra esperienza. Grazie all’intervento della mia amica collega di Pistoia, fui chiamato presso il sindacato CGIL a fare delle lezioni di contabilità generale dello stato ad alcuni candidati del concorso di funzionario nel Ministero delle finanze. La cosa mi attirò, anche perché era retribuita bene e così per 5 giorni spiegavo a questi candidati i concetti della contabilità generale dello Stato. Mi limitai soltanto a descrivere gli argomenti più importanti.

Ma un giorno mi arrivò una lettera dal Ministero con la quale venivo ringraziato per la collaborazione con l’ufficio ispettivo e per tale motivo mi fu elargito un premio di un milione di lire. Un’altra soddisfazione che si aggiunse alle altre.

L’ispezione a mamone. La pubblicazione del Codice di contabilità penitenziaria

Intanto, quando una settimana ero libero andavo a Gorgona, dove reclamavano la mia presenza.

Un giorno il direttore di Gorgona mi disse: guarda il tuo direttore di Lucca cosa ha scritto. Era una lettera inviata a tutti gli istituti d’Italia con la quale il Direttore Verde invitava il personale a non chiamarmi al telefono in quanto il numero telefonico del carcere di Lucca era “intasato”. Cose da pazzi, cosa pretendeva il mio Direttore che il personale penitenziario dei carceri non mi telefonasse più ? Ma fu un invito che nessuno accettò, perché le telefonate continuarano sempre a pervenire, per il fatto che chi aveva bisogno mi chiamava ugualmente per avere consigli e suggerimenti.

Ma dalle telefonate che mi arrivavano da anni, molte riguardavano l’esistenza di circolari e date di leggi. Perciò da qualche tempo avevo avvertito l’esigenza di fare una raccolta della normativa e delle circolari in materia di contabilità penitenziaria.

E così mi misi al lavoro e con l’aiuto delle attrezzature informatiche elencai tutta la normativa e le relative circolari, corredando in calce i relativi riferimenti incrociati. Il testo lo intitolai: “Codice di amministrazione e contabilità carceraria”

Era un’altra opera necessaria e mai fatta da nessuno, in quanto i codici di contabilità in circolazione riportavano soltanto la normativa della contabilità generale dello Stato. Tamponai in tal modo l’inerzia dell’amministrazione che doveva provvedere in merito. Ma al Dipartimento chi avrebbe avuto tanta pazienza da certosino ?

Ma intanto una grande soddisfazione stava arrivando: l’ispezione a Mamone, la colonia agricola tanto a me cara perché lì assunsi servizio di prima nomina.

Andai verso la fine di luglio insieme all’amico collega Filia e pensai che a distanza di 30 anni esatti ero tornato da ispettore contabile nella sede dove andai giovincello a 23 anni privo di esperienza.

Una coincidenza straordinaria, che credo a pochi sia capitata.

Ecco la foto per immortalare l’avvenimento

Tutto il personale di Mamone mi conosceva, perché ogni estate andavo in vacanza in sardegna e andavo sempre a trovare i miei colleghi e agenti.

Conoscevo bene la colonia agricola, i problemi, i misteri. E infatti, grande mistero, trovammo la cassaforte della cassa corrente dissaldata intorno alla manopola di apertura. Qualche mese prima di notte persone ignote avevano tentato di fare un buco con la saldatrice attorno alla manopola di apertura della cassa, senza riuscirci per fortuna. Ovviamente si trattava di agenti, perché la notte i detenuti sono chiusi nelle celle e ciò ci fece subito capire in che ambiente eravamo capitati.

Ma lo scopo dell’ispezione non era solo quello, infatti dopo qualche giorno scoprimmo ammanchi nella gestione dell’azienda agricola, moria di bestiame in maniera misteriosa, sparizione di materiale. Insomma rubavano tutti (purtroppo era la parola esatta), ma non c’erano prove per incolpare gli autori. Tutto spariva ma non si sapeva come e chi faceva sparire il materiale.

Un detenuto pastore parlò ma non volle firmare la dichiarazione, affermando che la mattina quando mungeva le pecore le guardie si prendevano il primo latte, lasciandone soltanto una piccola parte. E infatti dal controllo dei registri notammo che con 1.500 pecore la produzione di latte giornaliero era soltanto di 300 litri, anziché mille, come di regola.

Ancora, ogni mese venivano dichiarate morte naturali di oltre 50 capi di bestiame (mucche, pecore, maialetti, ecc.). Dal controllo dei mangimi acquistati e consumati risultò che ogni capo di bestiame avrebbe mangiato 5 chili di mangime al giorno. Dati questi che avrebbero fatto fallire qualsiasi azienda agricola.

L’agronomo era un mio amico da anni: Vincenzo Giacomo e lo accusammo di stare sempre in ufficio a sbrigare le pratiche invece di andare in giro a controllare, compito questo previsto dal regolamento. Mi dispiacque accusarlo insieme al mio collega, ma non si rendeva conto che le irregolarità erano state causare anche dalla sua immobilità.

Facemmo una relazione fiume e la portammo di persona al Dipartimento al capo dell’ufficio ispettivo, al quale spiegammo a voce tante altre cose.

Purtroppo avevamo infierito troppo, cosa dovevamo fare ? rubavano tutti in quella colonia agricola.

Ebbi timore di qualche ritorsione perché io abitavo dai miei suoceri in un paese vicino, ma non successe nulla per fortuna, forse perché il personale aveva capito che aveva esagerato a saccheggiare la colonia.

Dopo venni incaricato di un’altra ispezione a Genova ponte decimo, insieme al dirigente Faramo. L’incolpato era il Direttore, ex ragioniere, mio amico. Ma nella contabilità niente di grave. I rilievi riguardavano il comportamento del Direttore.

Alla fine dell’anno pubblicai finalmente il Codice di contabilità penitenziaria e scrissi a tutte le Direzioni. Mi arrivarono tante ordinazioni, ma non come quelle arrivate per il Manuale e per il Funzionario delegato.

La nomina nel nucleo ispettivo degli spacci

Durante l’anno mi arrivò anche la nomina dell’inclusione nel nucleo ispettivo degli spacci e quindi dovevo andare in giro anche per ispezionare gli spacci.

E subito arrivò il primo incarico: l’ispezione dello spaccio presso la Casa circondariale di Napoli poggioreale e presso il Manicomio giudiziario di Napoli, insieme all’amico collega Rammairone. Fu una cosa piacevole, sia perché era una ispezione settoriale e limitata soltanto alla contabilità dello spaccio e sia perché era retribuita dall’Ente di assistenza, al contrario delle ispezioni ministeriali che non erano retribuite.

Nel lavoro a Lucca, invece, non stavo bene, era una lotta continua con il Direttore Verde, il quale non accettava che io andassi sempre in giro e trovava ogni pretesto per contestarmi, scendendo a volte nel ridicolo. E ciò mi faceva stare male.

Ma nell’anno vinse il concorso di ragioniere la moglie del collega Avella e per fortuna fu assegnata a Lucca. E così come personale eravamo a posto, tre ragionieri, coadiuvati da Maranò Olga agli stipendi, una coadiutrice a scrivere gli ordinativi e due coadiutrici ai conti correnti, di cui la Antonella Franceschi, conosciuta fin dal 1975 perché era vicina di casa e amica di famiglia. E’ lei che mi è stata sempre vicina e sempre rispettato.

La nuova contabile e la riforma del pubblico impiego

Con il nuovo anno fu fatto anche il passaggio di consegne della cassa tra il collega Avella e sua moglie Di Stasi, che nell’anno precedente era stata nominata ragioniera.

Il collega così potè dedicarsi alla contabilità del materiale e a collaborare con me quando ero fuori sede.

La Di Stasi appassionata di informatica incominciò a informatizzare tutti i prospetti contabili e fu di grande aiuto, così un pò alla volta lasciammo i vecchi registri cartacei.

Nei primi mesi dell’anno fui incaricato di fare la visita ispettiva alla Scuola di Cairo Montenotte, sotto la guida del dirigente Sparacia, considerato il killer degli ispettori.

Ritornai a Cairo Montenotte, ove ci andai nella veste di Direttore in missione.

Ma l’ispezione era mirata a colpire l’ex direttore Quattrone, colui che guidò l’ispezione a Bologna nell’anno precedente.

La Scuola era un covo di spioni che giornalmente informavano il Procuratore della Repubblica di tutti gli avvenimenti nella Scuola.

Il dirigente Sparacia mi fece presente la situazione e incominciai a verificare le varie gestioni e le pratiche.

Iniziai con la verifica della cassa e subito risultò che non si trovavano le copie delle chiavi della cassa di riserva. Dagli accertamenti risultò che tali copie non esistevano da anni per cui era inutile cercare di ritrovarle. Feci il rilievo e consigliai di cambiare la cassaforte con chiavi nuove e relative copie.

Per il resto nessuna irregolarità grave. Preparai una bozza della relazione e il dirigente Sparacia rimase meravigliato che non avevo trovato nulla di rilevante. E disse candidamente: ora cosa vado a dire al Procuratore ? che non è stato trovato nulla ? Ma scusi, gli risposi, se non ci sono irregolarità gravi che possiamo farci. E lui si incazzò, mettendo in dubbio la mia capacità. Cosa inaudita !

Ma era colpa mia se non c’era nulla da rilevante ? E i fatti mi diedero ragione nel futuro, come racconterò dopo. E, a tal proposito, devo dire che nella mia lunga carriera ho avuto sempre ragione, ma con ritardo, cioè sempre dopo l’avvenimento dei fatti. Anzi spesso prevedevo certe conseguenze e puntualmente si avveravano. E ciò era dovuto alla mia grande esperienza e conoscitore della materia.

E infatti dopo un paio di mesi fui mandato un’altra volta a Cairo Montenotte, affiancato dal collega Di Bari. Capii che non mi consideravano idoneo per scovare da solo le irregolarità che si immaginavano nella Procura della repubblica. Ma come ho accennato prima, non fu trovato nulla di irrilevante neanche dal collega che, tra l’altro, era laureato. Spulciammo tutte le pratiche delle forniture e lavori e in verità qualche irregolarità uscì fuori ma niente che avesse rilevanza penale.

Un giorno quando mi trovavo a Cairo Montenotte mi chiamò il dirigente Contestabile, mio paesano che conobbi a Pianosa nel lontano 1982. Mi disse che dovevo andare a Mamone in ispezione insieme con il collega Nubi, per approfondire l’ispezione del 1999, in quanto i “traffici” non erano finiti, anzi erano aumentati.

E così partii per la sardegna insieme alla famiglia, anche per le consuete vacanze. Ma per me non furono vacanze perché ogni giorno andavo a Mamone dal paese di mia moglie. Prima, però, andai a Nuoro per la verifica ispettiva anche di quel carcere, insieme a Nubi e Contestabile.

Nell’ispezione a Nuoro risultarono tanti arretrati poiché la collega contabile di cassa non compilava gli ordini di riscossione e di pagamento, in assenza del capo area e quindi i movimenti di cassa erano bloccati. Nella relazione io e il mio collega evidenziammo che in teoria la contabile aveva ragione in forza del regolamento di contabilità carceraria che non pone a carico del contabile il suddetto compito. Ma nello stesso tempo invitammo il Direttore ad adottare le iniziative per la emissione dei titoli di spesa.

Ma durante l’ispezione a Nuoro io e il collega Filia fummo chiamati dal Procuratore di quella città per essere ascoltati come “informati dei fatti di mamone del 1999.

Un colloquio lunghissimo che si tramutò in un interrogatorio vero e proprio e ad un certo punto mi sentii quasi un indagato. Infatti, il Procuratore cercava di farmi confessare come avvenivano le ruberie e i traffici da parte del personale di Mamone. Io lo sapevo, ma non c’erano prove certe e quindi preferii tacere per non trovarmi ne guai.

Una esperienza allucinante che mi turbò profondamente

Dopo l’ispezione di Nuoro ritornammo tutti a Mamone ove approfondimmo l’ispezione iniziata nel 1999 da me e il collega Filia. Ma il primo giorno di ispezione fu allucinante. Venne anche il dirigente Sparacia, Provveditore di Cagliare, per assistere alla verifica di cassa che non fu possibile effettuarla in quanto i registri cassa non erano aggiornati dall’anno precedente ! All’inizio dell’anno non vi erano i riporti dei debiti e crediti di cassa perché al 31/12 non era stata fatta la chiusura della cassa ! Assurdo. Erano passati 7 mesi ed era tutto abbandonato. Il contabile era un ex dipendente della ragioneria provinciale dello Stato di Nuoro ed era ammalato. Ci dissero che non capiva nulla di contabilità carceraria. La cassa era tenuta provvisoriamente da un collega inesperto con pochi mesi di servizio. Ci limitammo quindi soltanto a verificare i valori esistenti in cassa per poi un giorno confrontarli con il saldo dei registri cassa, quando questo era possibile accertarlo. Invitammo il Direttore a provvedere a quanto sopra.

L’ispezione continuò su tutti i fronti perché questa volta eravamo più componenti della commissione ispettiva e così uscirono fuori tante irregolarità, ma senza trovare i nominativi degli autori e ciò dava ragione al mio convincimento, formatosi a seguito della mia esperienza di colonie agricole, che in quegli istituti speciali è quasi impossibile individuare gli autori dei c.d. traffici, sia per l’estensione del territorio e sia per la difficoltà di vigilare tutti i confini della colonia agricola (vedi Pianosa e Mamone).

Ma ciò non era accettato dai capi inquisitori e anche dal Procuratore della repubblica di Nuoro che, testardo, ordinò addirittura il disseppellimento delle carcasse del bestiame morto per ricostruire i capi di bestiame e poterli così conteggiare per accertare se il numero coincidesse con quello dei decessi “naturali” del bestiame registrati nei documenti contabili !

Terrificante, mai visto una cosa del genere, una assurdità. Il lavoro costosissimo non portò a nessun risultato, ovviamente, e ancora oggi gli autori delle sparizioni del bestiame, morto contabilmente, non sono stati ancora rintracciati. E ciò ha confortato il mio convincimento che se l’autore dei furti non viene beccato in flagranza è inutile arrampicarsi sugli specchi, se nessuno “canta”. Ma ciò il Procuratore non lo capiva, sperava di cercare le prove da semplici accertamenti.

L’ispezione finì alla fine di luglio, ma non portò a nessuna conclusione importante, tanto è vero che nell’anno successivo ritornammo per approfondire ancora.

In autunno mi arrivò l’incarico di ritornare a Cairo Montenotte unitamente al collega Di Bari per continuare a “scavare” negli anni passati e l’incarico era senza termine. Insomma, il Dipartimento insisteva per le pressanti pressioni del Procuratore della repubblica Ci andammo per tanti mesi ma ogni tanto e anche nell’anno successivo. Ma senza trovare nulla di rilevante

Durante l’anno fu approvata la riforma del pubblico impiego che favorì finalmente l’avan-zamento di noi colleghi al livello superiore e così il famoso concorso esterno riservato ai laureati fu annullato perché non era più necessario.

Fu una grande vittoria e fui tanto contento perché l’avanzamento per me era sicuro, in considerazione dell’anzianità di servizio e dei titoli che avevo acquisito. E ciò avrebbe eliminato la mia paura di essere scavalcato dal collega giovane a dirigere l’ufficio.

Il passaggio al nono livello

All’inizio dell’anno furono organizzati dal Provveditorato regionale di Firenze i corsi di tre mesi per il passaggio prima all’ottavo livello e poi al nono livello. Io avevo i requisiti per partecipare ai corsi per i due passaggi ai livelli superiori, al termine dei quali dovevo presentare una tesi che veniva discussa con i componenti della commissione.

Per fortuna la graduatoria veniva formata in base all’anzianità di servizio e al voto finale dell’esame. Feci i calcoli opportuni e risultò che grazie all’anzianità ce l’avrei fatta anche se all’esa-me finale avessi preso un voto basso. E così partecipai al corso serenamente, anzi senza mostrare tanta attenzione, poiché all’esame finale avrei discusso la tesi da me scelta su una materia di contabilità.

Nell’intervento fatto dal Presidente della commissione, un dirigente carcerario che mi conosceva, fu messo in evidenza la realtà che i ragionieri anziani ce l’avrebbero fatta tutti a progredire di due livelli. Anzi, il Presidente disse: è impossibile che ragionieri anziani ed espertissimi quali De Gennaro (in servizio al Prap) e Canoro non venissero promossi. Mi sentii gratificato sentendo questo discorso e lo considerai come un premio dell’amministrazione per il mio lavoro dedicato unicamente ad essa.

Durante le lezioni, quindi, mostrai poca attenzione, anche perché erano noiose e fatte su problematiche teoriche che per me, grazie alla lunga esperienza, erano irrisolvibili.

Ma per il docente di diritto del lavoro era tutto risolvibile e quando interpellò tutti gli allievi, io mostrai il proprio pessimismo facendo presente che nei carceri non erano applicabili i principi del diritto del lavoro privato. Il docente non capiva il mio pessimismo, che in pratica era fondato sulla mia vita quotidiana del carcere, che al docente era ignota.

In sostanza, si discuteva sul problema della mancanza di personale. Il docente affermava che era risolvibile perché il datore di lavoro ricorre ad altra mano d’opera. Ma ignorava che nel pubblico ciò è impossibile se non vengono banditi concorsi o se l’amministrazione centrale non trasferisce personale. Ma era inutile, non poteva capire !

Comunque presentai la tesi: “La comunicazione nella programmazione delle spese” e la discussi con la commissione. Non mi fu difficile in quanto la materia la conoscevo bene. Il voto fu ottimo.

Nell’intervallo tra un corso e un altro fui richiamato dal dirigente Contestabile per ritornare a Mamone. E così per la prima volta andai in sardegna in primavera.

L’ispezione durò una settimana, al termine della quale fu redatta una lunga relazione che sottolineava le irregolarità rilevate.

Purtroppo la relazione fu oggetto di procedimento penale a carico dell’agronomo, mio vecchio amico, del veterinario e del Direttore, per la mancata vigilanza. Alla fine, il procuratore non potendo accusare nessuno dell’appropriazione del materiale e bestiame, perché mai furono individuati i responsabili, come prevedevo io, accusò i vertici dell’amministrazione per la mancata vigilanza !

Procedimento penale che fortunatamente terminò con l’assoluzione dopo molti anni. Ma rimasi turbato ugualmente perché il mio vecchio amico agronomo Vincenzo Giacomo, nel frattempo trasferito al Dipartimento, mi guardava in maniera brutta quando mi incontrava negli uffici. E queste erano le conseguenze negative del personale che effettuava le ispezioni.

Ritornato a Lucca ripresi la partecipazione al corso per il passaggio al nono livello, durante il quale ero presente solo “fisicamente”, per l’assoluta certezza di farcela a superare il corso. E infatti, presentai la tesi su una materia a me molto conosciuta: Le spese dell’amministrazione penitenziaria, il controllo di gestione e la rendicontazione. Non ebbi difficoltà e anche in questo esame presi ottimo.

E così in poco tempo dal settimo fui promosso al nono livello: un bel salto inimmaginabile qualche anno prima quando fu bandito il concorso per l’ottavo livello riservato soltanto ai laureati. Ero ormai arrivato al massimo della carriera con la qualifica di “direttore di ragioneria”

Il mio collega passò all’ottavo livello e tutti gli altri collaboratori passarono al livello superiore.

La nomina arrivò nel mese di luglio e io il 19 dovetti rientrare appositamente dalle vacanze per firmare il contratto individuale. Notai che il Direttore non aveva una faccia serena. Eh si perché anche lui era inquadrato nel nono livello e ovviamente non digeriva che io lo avessi raggiunto come livello retributivo.

E io fui soddisfatto, una volta tanto l’amministrazione era stata generosa.

Ma in concomitanza dei corsi di formazione partecipai anche al corso di vice sovrintendente svoltosi alla scuola di Verbania. Una esperienza bellissima che oltre a darmi una grande soddisfazione mi diede la possibilità di vedere le bellezze del lago maggiore.

Le lezioni erano divertenti per me, dovevo spiegare agli allievi le varie gestioni della contabilità penitenziaria e, ovviamente, il trattamento economico, cui gli allievi erano molto interessati.

Ma la soddisfazione fu che il Direttore della Scuola, che mi apprezzava tanto, mi nominò componente della commissione esaminatrice degli allievi e ciò mi gratificò tanto.

Era la prima volta che facevo l’esaminatore, ma soltanto per la contabilità penitenziaria, e per la mia professionalità ed esperto facevo delle domande un pò particolari agli allievi. Acchè il Direttore Presidente mi disse: ma ragioniere che domande difficili fai. E così posi delle domande più semplici e più adatte per un sovrintendente.

Nell’autunno partecipai anche al corso di formazione dei ragionieri presso la Scuola di formazione di Sulmona in qualità di docente per la materia “ Trattamento economico, previdenziale e fiscale dei detenuti lavoranti nell’A.P.”

Mi chiamò il collega Boldrini, che era il Direttore del corso. Con lui ci vedevamo sempre al Collegio dei revisori dei conti dell’Ente di assistenza, dove le riunioni erano trimestrali, oltre a quelle semestrali del Consiglio di amministrazione.

Verso la fine dell’anno partecipai all’ispezione presso la Casa circondariale di Taranto, unitamente al collega Dell’Aquila. Per me fu molto gratificante perché il Dell’aquila era il capo del gruppo contabile ispettivo e a suo fianco feci esperienza.

Fu anche una esperienza turistica in quanto ebbi occasione di conoscere la regione Puglia.

L’ispezione a Cairo Montenotte continua e ispezioni in tutta Italia

All’inizio dell’anno ritornai a Cairo Montenotte per l’ennesima ispezione e questa volta eravamo tre colleghi, io, Di bari e Carmignani, capeggiati sempre dal dirigente Contestabile.

Ritornammo a spulciare tutto per l’ennesima volta, ma niente di rilevanza penale, come prevedevo fin dal 2001. Il procuratore pensava che dalle carte si potessero rilevare reati gravi, invece, secondo me, se non “canta l’impresa” il funzionario non potrà mai essere incolpato e poi dalle carte si scoprono soltanto irregolarità amministrative sanzionabili disciplinarmente e non penalmente. Questo convincimento me lo avevo fatto dopo una lunga esperienza di ispezioni e di visite in tanti istituti.

L’ennesima e ultima ispezione terminò con la solita relazione e tutto finì senza conseguenze per coloro che erano indagati dalla Procura.

E ciò fu una soddisfazione per me dopo lo scontro che ebbi nel 2001 con il dirigente Sparacia, il quale voleva a tutti i costi che io scoprissi chissà quale reato dalle carte contabili. In realtà “radio carcere” informava il Procuratore che un determinato “tizio” si era appropriato di qualcosa e il Procuratore faceva fare le inchieste contabili, ma cosa poteva risultare dalle carte se qualche dipendente si era appropriato di qualcosa ! Ma come non capivano queste cose, mi chiedevo sempre.

Finito a Cairo Montenotte, continuai le ispezioni. Dopo un mese fui inviato a Catanzaro per ispezionare lo spaccio di quel carcere. Ero insieme all’amico collega De Gennaro del Provveditorato di Firenze. Ebbi occasione di vedere anche la Calabria e dopo quattro giorni andammo via senza aver riscontrato nulla di grave.

Dopo fui nominato docente al corso dei formatori per il progetto STIPE (stipendi personale del Corpo di polizia penitenziaria) presso la scuola di formazione di Via di Brava – Roma. Con me c’era anche il vecchio collega Nocera conosciuto a Mamone. Non era cambiato, sempre freddo e distaccato.

Agli allievi anticipai una cosa importante, ma non fui creduto. Dopo qualche anno l’ammi-nistrazione non avrebbe pagato gli stipendi direttamente, perché non era più previsto che con gli ordini di accreditamento si potessero pagare gli stipendi.

E scherzando dissi a quelli del centro elettronico di Roma che sarebbero andati via e di trovarsi qualche altra sede. Nessuno mi credeva, ma dal 2010 si avverò quello che io avevo anticipato. E come sempre con ritardo avevo avuto ragione.

In primavera partecipai a Portici ad un corso di aggiornamento del nucleo ispettivo per gli spacci. Eravamo una decina di colleghi, tutti amici e fu un corso divertente durante il quale approfittai per andare a Caserta dai miei parenti Ebbi l’occasione di visitare la città di Portici e la scuola di formazione.

A Lucca, intanto, ebbi uno scontro con la vicedirettrice Ghiselli. Andò in ferie il Direttore Verde, con il quale rimasi d’accordo che al suo ritorno avremmo rivisto la situazione delle pratiche dei lavori. Ma durante la sua assenza e durante una mia assenza di tre giorni per incarichi a Roma, la vicedirettrice mi fece pervenire un invito scritto a rivedere insieme tutta la situazione delle pratiche. Io le risposi per iscritto con un tono acceso spiegando che la situazione delle pratiche dei lavori la dovevo rivedere con il direttore titolare, come da accordo preso con lui.

Ma niente, lei se la prese e iniziò il procedimento disciplinare che fu bloccato quando rientrò dalle ferie il direttore titolare.

Il contrasto fu oggetto di un quesito al Prap perché io ero un funzionario di nono livello, mentre la direttrice era di ottavo. Ma il Prap precisò che anche se di livello inferiore la vice direttrice svolgeva le mansioni di direttore e quindi era mio superiore gerarchico.

Comunque tutto finì bene e nessun rancore mi portò la dr.ssa Ghiselli.

Nell’anno fui inviato a Livorno per insegnare ai colleghi la meccanizzazione della contabilità. Fu una esperienza bella, quasi come una gita di piacere e nello stesso tempo i colleghi mi chiedevano pareri, consigli ecc.

Poi fui inviato, da parte del Dipartimento, anche a Gorgona per verifica ispettiva e senza dirigente. Io conoscevo già l’ambiente perché dal 1994 ci andavo in veste di collaboratore. Feci una relazione evidenziando tutti i problemi della colonia agricola, causati dalla cronica carenza del personale e non evidenziai tanto le irregolarità e gli arretrati che erano dovuti in gran parte dalla predetta carenza.

Durante l’estate andavo in vacanza in sardegna e spesso mi recavo a mamone a salutare i vecchi amici. Il Direttore (Macrì) mi accoglieva sempre bene e mi chiedeva consigli. Anzi un giorno assistetti ad una riunione accesa tra lui e una Ditta che lo stava minacciando di denunciarlo per i danni ricevuti.

In sostanza il Direttore aveva dato ordine telefonico alla Ditta aggiudicatrice della gara di iniziare i lavori, ma non essendo mai pervenuta l‘autorizzazione, successivamente fece cessare i lavori e la Ditta voleva denunziarlo per i danni per non aver ultimato i lavori. Acchè intervenni e dissi soltanto una cosa: ma il contratto è stato firmato ? No, mi dissero tutti e allora cosa avete da pretendere, L’ordine verbale non conta a niente davanti ad un tribunale in un eventuale processo civile per danni.

Il titolare della Ditta disse al Direttore: ma chi è questo signore (cioè io) e il Direttore: è un mio tecnico personale. Che soddisfazione e mi chiedevo: ma una cosa così semplice diventò complicata e il Direttore non sapeva nulla di contratti ? Era un laureato in legge !

Anche queste situazioni in cui mi trovavo occasionalmente, accrescevano la mia esperienza.

Intanto, nel corso dell’anno continuavo ad andare a Roma per le rituali riunioni del Collegio arbitrale di disciplina e del Collegio dei revisori dei conti.

Inoltre feci tante altre ispezioni ministeriali, tutte guidate dal dirigente Faramo, con cui strinsi una collaborazione e reciproco rispetto. Le sedi ispezionate furono nell’ordine:

a) Viterbo: ebbi occasione di vedere il collega Boldrini e collega del collegio dei revisori dei conti dell’Ente di assistenza; dall’ispezione non risultò nulla di rilevante;

b) La Spezia: feci una grande esperienza in materia di pratiche del fabbricato. Accertai “cose turche” ad opera del direttore Iodice, che poi nel 2010 fu arrestato. Gare irregolarissime, lavori affidati a ditte che non avevano vinto la gara, pagamento di fatture di importi uguali per lo stesso oggetto, buste contenenti offerte e non aperte ! Nella mia lunga carriera non avevo mai visto cose del genere;

c) Treviso: trovai alcune irregolarità, ma niente di grave;

d) Imperia: una gita di piacere nella bella liguria.

Verso la fine dell’anno il mio secondo figlio fu assunto per un anno per il servizio civile nell’associazione volontariato di Lucca e fu assegnato al carcere di Lucca, per seguire i detenuti per apprendere l’informatica e il maneggio dei computer.

E così avevo due figli che lavoravano nel carcere, una bella soddisfazione per un padre che lavorava nello stesso carcere !

Fine degli incarichi ispettivi ministeriali e inizio di quelli degli spacci

Nel 2004 il grande amico collega Dell’aquila, che tanto mi stimava e che mi faceva chiamare per le ispezioni, andò in pensione e al Dipartimento dovevano provvedere alla sua sostituzione.

Io speravo che fossi chiamato io, me lo meritavo per la luminosa carriera fatta fino a quel momento e ci speravo tanto perchè a capo del gruppo ispettivo c’era il dirigente Contestabile, con il quale avevo fatto tante ispezioni.

Ma ebbi una grande delusione: furono chiamati i colleghi Di Bari e Carmignani, i quali erano stati con me a Cairo Montenotte nel 2003. Furono preferiti a me, perché ? non lo ho mai saputo.

La conseguenza fu che tutte le ispezioni ministeriali le facevano loro e non fui più chiamato, anche perché le ispezioni diminuirono molto e limitate soltanto a casi particolari.

Ma per fortuna iniziarono le ispezioni presso gli spacci. Infatti, alla Scuola di Parma fu fatta una riunione di tutti i colleghi che facevano parte del gruppo ispettivo degli spacci. Fui chiamato io e un’altra decina di colleghi, tra i quali De Gennaro, Ciro Boldrini, Angelucci, De Paolis, Rammairone, Sergio Merrone.

Ripartimmo tra noi le visite ispettive “lampo” in regioni e a me toccò la Lombardia e l’Emilia. Dovevamo effettuare, in sostanza, soltanto verifiche alla cassa tenuta dal gestore dello spaccio.

Dopo un mese partimmo e io incominciai dagli istituti della Lombardia: Busto Arsizio, Brescia, Cremona e Bergamo. E in quest’ultima sede rividi il grande vecchio amico collega Moscariello, colui che mi aveva insegnato a Mamone negli anni 70. Lo abbracciai con tanto affetto.

Dopo un altro mese ripresi le ispezioni agli spacci e andai in Emilia negli istituti di: Piacenza, Reggio Emilia, Castelfranco emilia e Modena. Anche in quest’ultimo istituto rividi il grande amico D’Amore, che conoscevo fin dal concorso e al quale diedi il cambio a Fossano nel 1972.

Nel mese di maggio 2004 partecipai al Corso Coram presso il Provveditorato regionale di Catanzaro, in qualità di docente di contabilità penitenziaria. Qui rividi la grande amica Rita Novello, che conobbi a genova nel 1980.

Ma nell’anno ebbi una grande delusione: la fine della decennale missione a Gorgona. Infatti, cambiò il Direttore e venne il dirigente Dessì dal Provveditorato, al quale non ero tanto simpatico. Arrivai come al solito il martedì con la nave verso le 10 e arrivai in Direzione alle 10 e 30. Lui mi affrontò chiedendomi perché ero arrivato così tardi e che era meglio che avessi preso la motovedetta delle 7, così sarei arrivato alle otto in ufficio. Io risposi che per prendere la motovedetta a quell’ora sarei dovuto partire da Lucca prestissimo.

Ma a lui non piacque la mia giustificazione e immediatamente, il giorno dopo, mi arrivò subito dal Provveditorato la revoca dell’incarico, senza alcuna motivazione. Fece fare lui il provvedimento, senza interpellare neanche il Provveditore.

E così dopo circa dieci anni di trasferte a Gorgona, durante i quali avevo eliminato gli arretrati e insegnato a tanti ragionieri di nuova nomina che si erano avvicendati, finì l’incarico. Ma non lo considerai un torto dell’amministrazione, ma una ritorsione di un dirigente che non mi digeriva, chissà perché.

Ma una soddisfazione la ebbi dopo qualche mese quando lo stesso Provveditorato fece un interpello tra i ragionieri per affidare l’incarico di Gorgona. Io feci la domanda più per ripicca e mi classificai al primo posto, mi arrivò l’incarico e lo rifiutai. Avevo ricambiato il torto fattomi prima !

In autunno fui chiamato dalla Cisl di Roma per fare il docente al corso dei candidati al concorso di ragioniere. Fu una bella esperienza e il corso era anche retribuito. Gli allievi erano estranei all’amministrazione e tutti laureati. Dovevo far apprendere i concetti della contabilità penitenziaria, dopo aver accennato alla contabilità generale dello Stato. Per me non era difficile, ero argomenti che sapevo benissimo.

Verso la fine dell’anno poi un’altra grande soddisfazione. L’ufficio del bilancio del Dipartimento stava predisponendo l’applicazione del sistema informatico Sicoge per gli istituti penitenziari e fui costituito un gruppo di studio, di cui fui nominato componente insieme ad alcuni colleghi esperti e direttori.

Ci diedero le bozze e dovevamo dare consigli e suggerimenti. Io in verità capivo ben poco di programmi informatici ma dissi la mia in merito agli ordini di riscossione, altri diedero tanti suggerimenti, ma poi non se ne seppe più nulla perchè il dirigente responsabile affidò il tutto ai funzionari del tesoro che già utilizzavano il programma.

Docente all’Istituto di studi penitenziari e la nomina di mio figlio a responsabile informatico

Le gite di servizio a Roma continuavano sempre, intervallate da qualche ispezione negli spacci.

In primavera mi arrivò la nomina a membro della commissione di studio per la individuazione delle procedure contabili informatiche da utilizzare negli istituti penitenziari.

Fu una riunione alla quale partecipò la Dr.ssa Culla, direttrice della Scuola di formazione del personale di Roma, e alcuni ragionieri tra cui il collega De Gennaro, De Paolis e Ciro Boldrini. La dr.ssa Culla chiese a ognuno di noi quale materia sceglievamo per approfondire le ricerche e io risposi che ero disponibile per qualsiasi materia e se risposi così è perché ormai ero esperto in tutti gli argomenti dell’amministrazione e contabilità carceraria.

Ma successivamente ebbi una grande soddisfazione: fui chiamato dalla dr.ssa Culla per partecipare al corso di riqualificazione del personale B3 a C1 (profilo Direttore), presso l’Istituto superiore di studi penitenziari, in qualità di docente di contabilità penitenziaria.

Ero arrivato al massimo perché approdavo all’Istituto di studi penitenziari ove si svolgevano convegni, corsi riservati a laureati. E io dovevo spiegare la contabilità penitenziaria ad allievi laureati con la qualifica di assistenti amministrativi che dovevano essere promossi Direttori.

Ma non mi fu difficile, anche perché incoraggiato dalla presentatrice del corso, una dirigente della scuola, la quale mi presentò agli allievi: ecco il mitico Canoro, ora l’abbiamo con noi e cercate di apprendere da lui le sue esperienze vissute.

Che soddisfazione ! Ero nella più importante scuola dell’amministrazione, davanti ad allievi laureati che dovevano essere promossi direttori.

Ma la mia profonda conoscenza mi diede coraggio per affrontare una trentina di laureati preparati in tutto e vidi che erano interessati agli argomenti, anche perché la mia prerogativa era quella di spiegare prima la teoria e poi scendere nei particolari facendo riferimenti ad episodi verificatosi in istituti carcerari.

In primavera fui mandato a Gorgona per una ispezione allo Spaccio, il cui gestore, un balordo e furbone, non presentava i rendiconti. Ci andai volentieri perché sapevo già la situazione e compilai due anni di rendiconti sulla base della poca documentazione trovata.

Risultò ovviamente un ammanco e inviai all’Ente di assistenza la relativa relazione.

Dopo qualche mese mi arrivò una telefonata da un magistrato della Corte dei conti di Firenze, il quale voleva dei chiarimenti perché non capiva come avessi conteggiato l’ammanco, che era dovuto a minor incassi e non da appropriazione di denaro. Purtroppo non mi capiva perché per lui un ammanco era dovuto soltanto a seguito di appropriazione di denaro e non comprendeva che un ammanco può essere dovuto anche a minor incassi.

In seguito non ho più saputo l’esito del processo contabile.

Successivamente fui nominato membro del gruppo di lavoro per l’esame delle vertenze promosse dai Direttori per il riconoscimento economico delle mansioni superiori di dirigente. Alla prima riunione partecipammo io, il collega De Gennaro e Di Bari, compagni di ispezioni. Presiedeva il dirigente Sparacia, capo del personale, il quale non mostrò alcun rancore per il contrasto che avemmo durante l’ispezione di Cairo Montenotte nel 2001. Anzi se fui chiamato da lui forse significò che aveva capito che il tempo mi aveva dato ragione, come ho detto in precedenza.

Intanto, il mio primo figlio che era in servizio nell’ufficio matricola si era rilevato un esperto informatico e veniva spesso chiamato a riparare i computer dell’amministrazione e a questo punto il direttore lo nominò responsabile informatico del carcere e doveva seguire e installare programmi, riparare le attrezzature informatiche, senza trascurare ovviamente il servizio matricola.

In autunno fui chiamato come docente di contabilità penitenziaria, al corso di formazione degli assistenti sociali riqualificati Direttori, presso l’Istituto superiore studi penitenziari. Ritornavo nella più importante scuola di formazione ma, questa volta, ebbi delle difficoltà a far capire la contabilità agli allievi, in quanto essi non avevano quella preparazione professionale di base necessaria.

Perciò mi limitavo a fare degli esempi pratici di argomenti che potevano interessare.

L’inchiesta dei prestiti delle finanziarie

Intanto nelle riunioni del Collegio arbitrale di disciplina acquisivo sempre maggiori esperienze, ma a volte mi rizzavano anche i capelli in testa leggendo dei ricorsi di colleghi avverso sanzioni disciplinari ingiuste. Ne cito alcuni.

Un collega fu sanzionato perché non procedeva alle rituali verifiche di cassa trimestrali ! Cosa assurda. Il regolamento carcerario è preciso: è il Direttore che deve provvedere a effettuare le verifiche, anche improvvise. Ma quello che fece aizzare la rabbia a me e al Presidente Pastena, ex dirigente generale del Dipartimento, è che la sanzione fu inflitta dall’ufficio del personale da una direttrice che, è il caso dirlo, disconosceva la normativa di contabilità penitenziaria. E ciò rafforzò il mio convincimento che i Direttori non conoscevano a fondo la contabilità penitenziaria.

Annullammo, ovviamente, la sanzione disciplinare.

Un’altra collega della Sicilia fu accusata perché in presenza della disponibilità di fondi del capitolo delle mercedi non provvedeva a far assumere al lavoro i detenuti e fu, inoltre, accusata di aver accumulato una economia ingente su tale capitolo. Anche questa sanzione fu inflitta dal Dipartimento e, sicuramente, il funzionario che la inflisse disconosceva che il compito del funzionario delegato, cioè il Direttore, è quello di gestire in prima persona i fondi dei capitoli di bilancio e di assumere i detenuti al lavoro !

Ma in una riunione del Collegio fu discusso il ricorso del mio grande vecchio amico Alfonso D’Amore di Modena, colui che conoscevo fin dal concorso per entrare nell’amministrazione e che a lui diedi il cambio a Fossano nel lontano 1972.

Anche lui era stato sanzionato ingiustamente e riuscii a trovare i cavilli per discolparlo, anche perché il colpevole era il Direttore e io, francamente, ero contento quando riuscivo a dimostrare le colpe dei Direttori.

La mia lunga esperienza mi aveva portato al convincimento che i Direttori fossero convinti che tutto ciò che riguardava la contabilità fosse di esclusiva competenza del ragioniere, ignorando la normativa penitenziaria che prevede precisi compiti e responsabilità anche per i Direttori.

E molti Direttori sanzionavano i colleghi per irregolarità di cui erano loro responsabili. Cito ad es. una delle incolpazioni a carico del collega D’Amore: aver pagato un monte ore di lavoro straordinario del Direttore in quantità superiore a quello autorizzato dal Provveditorato ! Assurdo ! E’ il Direttore che attesta le ore espletate e paga i compensi.

Nel 2006, dopo circa dieci anni, ritornò all’attacco l’agenzia del demanio per il canone degli alloggi demaniali. Arrivò un funzionario per prendere le misure degli alloggi e disse che sarebbe stato applicato il canone a libero mercato. Io gli spiegai che per i carceri vigeva sempre l’equo canone, in base a una sentenza della Corte dei conti, avvalorata da un parere del Consiglio di Stato.

La funzionaria rimase sorpresa affermando: ma soltanto a Lucca mi hanno fatto queste opposizioni. E io le risposi: solo a Lucca perchè ci sono io che sono informato sulla materia.

Preparai una lettera che firmai unitamente agli agenti che occupavano gli alloggi e la spedii all’agenzia del demanio, allegando le copie delle sentenze.

Non arrivò nessuna risposta. E mai arrivò. E come si dice: chi tace acconsente.

Un’altra soddisfazione per me, grazie alle riviste delle sentenze che leggevo sempre, perché ero sempre convinto che tante conoscenze si acquisiscono tramite la lettura delle sentenze della Corte dei conti e del Consiglio di stato. E ciò ha sempre arricchito il mio bagaglio culturale.

Poi nel 2007 fu emanato il regolamento degli alloggi con il quale furono stabilite anche i nuovi criteri per la determinazione dei canoni, molto più favorevoli rispetto a quelli del libero mercato e così per il periodo precedente tutto fu archiviato.

Intanto continuavano a chiamarmi per i corsi. Infatti, in autunno partecipai, quale docente, al corso sul pubblico impiego “Le assenze dal servizio” presso la Scuola di aggiornamento del personale della giustizia minorile di Castiglione delle Stiviere. La materia non era propria del ragioniere, ma io fui soddisfatto perché avendo pubblicato la dispensa delle “Assenze dal servizio” ero considerato esperto in quella materia.

Me la cavai abbastanza bene e le lezioni erano in pratica delle discussioni su quesiti e chiarimenti.

Ma in ufficio a Lucca era un continuo bisticciare, i contrasti tra la collega Di Stasi e la collaboratrice Olga crescevano sempre di più e in occasione di una riunione con il Direttore il collega Avella, marito della Di Stasi, di fronte alle discussioni accese dalla collaboratrice Olga perse il controllo e gettò una sedia per terra, insultando tutti, compreso il Direttore, il quale non potè fare a meno di sanzionarlo per iscritto.

Io ormai competente di procedimenti disciplinari cercai di calmare le acque e convinsi il Direttore a comminargli soltanto il rimprovero verbale, la sanzione minima che non avrebbe comportato conseguenze e così il caso si chiuse.

Ma i contrasti non finivano e così improvvisamente la situazione precipitò. Infatti, quando il Dipartimento comunicò che dal 2007 il pagamento degli stipendi del personale del Corpo di polizia penitenziaria sarebbe passato all’amministrazione centrale, risultò che alcune trattenute che la Direzione effettuava erano contabilizzate con codici errati ad opera della collaboratrice Maranò Olga, che da anni operava all’ufficio stipendi e che tante noie mi procurava perché era in continuo contrasto con la mia collega Di Stasi. Si scontravano sempre e io ero tra due fuochi. Avevano due caratteri differenti ma forti e ognuna voleva sopraffare l’altra. E ciò mi rendeva il lavoro poco sereno perché c’erano discussioni accese ogni giorno.

Non so come lo scoprì la collega, ma da tempo alcune trattenute di prestiti venivano effettuate con codici errati nel sistema informatico degli stipendi, perché le relative finanziarie non erano convenzionate con il Ministero. E allora la ragioniera andò dal Direttore allarmandolo in modo eccessivo, secondo me. Il Direttore ebbe paura che chiamassero in causa lui quando il Ministero dal 2007, nell’effettuare le ritenute dei prestiti, si sarebbe accorto che erano stati accesi prestiti con finanziarie non convenzionate.

Successe il finimondo e vani erano i miei tentativi nel far capire che da gennaio 2007 si sarebbe sistemato tutto perché mi risultava che anche in tanti carceri alcune ritenute venivano fatte in gran parte con codici errati, per cui il Ministero avrebbe adottato le misure necessarie e sanato tutto.

Inoltre, secondo me sul Direttore non incombeva più l’obbligo di continuare ad effettuare le trattenute per aver firmato la delega anni prima con le finanziarie non convenzionate, poiché con il passaggio della competenza del pagamento degli stipendi la delega sarebbe cessata di diritto.

Non fui compreso, il Direttore aveva paura e così unitamente alla ragioniera invitarono gli agenti che avevano contratto prestiti con finanziarie non convenzionate ad estinguere il prestito e accenderlo presso una finanziaria convenzionata.

E così una mattina, ritornando da Roma, mi chiamò il Direttore per farmi firmare i prospetti per la cessione delle quote di stipendio occorrenti per accendere i nuovi prestiti. Sembrava che tutto fosse sistemato, ma le lamentele degli agenti arrivarono fino al Provveditorato (e ciò lo avevo fatto presente prima al Direttore), e così arrivò una ispezione da parte di un dirigente del Prap, al quale raccontai tutto e in un certo qual modo mi diede ragione. Furono ascoltati anche gli altri e alcuni agenti.

Meno male andò tutto bene, ma ormai i rapporti con la collaboratrice maranò erano tesi e questa si ammalò e, su richiesta della ragioniera, il Direttore la sostituì affidando il servizio degli stipendi alla stessa ragioniera che si era offerta.

Io acconsentii perché la ragioniera si impegnò di assumersi il compito in aggiunta al servizio cassa, pur di non vedere più la Maranò, con la quale aveva avuto tanti contrasti.

Ma la maranò protestava e un giorno arrivò una lettera dalla CGIL nella quale affermava che la Maranò ogni mattina eseguiva gli ordini che le dava il direttore e il capo area, cioè io. Anzi, io le comunicavo i codici da inserire nel sistema informatico, quindi l’errore rilevato era stato causato da me ! Assurdo e una accusa immorale ! Ma il direttore tirò fuori un ordine di servizio di anni addietro, il quale stabiliva i compiti precisi della maranò, tra i quali quello di inserire i dati nel sistema informatico. Ovviamente lei era uscita fuori di testa.

Rispondemmo al sindacato che prima di lanciare accuse doveva informarsi bene sui fatti e non prendere per buono quello che riferiva la loro iscritta.

Rimasi turbato da queste accuse assurde su fatti inesistenti, volte soltanto a gettare fango su di me.

Meno male che la collaboratrice andò via perché si fece distaccare all’Inpdap, ove si fece assegnare all’ufficio prestiti. Strano !

Finalmente non vi furono più scontri e litigate tra noi ragionieri e la suddetta collaboratrice e così un pò di calma arrivò negli uffici.

Prima di Natale ebbi una bella soddisfazione quando al termine della rituale riunione del Consiglio di amministrazione dell’Ente di assistenza, il vice capo del Dipartimento, Dr. Di Somma, che conoscevo da anni, festeggiò il suo compleanno e offrì ai presenti un rinfresco a base di paste fatte venire appositamente da napoli (lui era un napoletano verace) e spumante di classe. Io semplice ragioniere, con il collega Di Gennaro e Boldrini, ero insieme ai più alti dirigenti dell’amministra-zione.

Ispezioni agli spacci

L’Ente di assistenza incrementò le ispezioni negli spacci e così anche io fui mandato in giro.

Andai a Paola, ove il gestore non faceva rendiconti e quindi non versava gli utili. Feci la verifica della cassa e qualcosa non quadrava. Sembrava ci fosse un ammanco e il gestore faceva il finto tonto. Feci la solita relazione e la inviai all’Ente.

A Paola ebbi l’occasione di vedere la Calabria e chiamai la mia vecchia collega amica Rita che stava a Cosenza e una sera mi portò in giro a mangiare le specialità calabresi. L’indomani mi portò a Cosenza a casa sua e così ebbi l’occasione di vedere anche Cosenza.

Dopo, l’Ente di assistenza mi mandò a Secondigliano ove rividii vecchi amici: Castorino conosciuto a Pianosa; Contestabile, conosciuto in occasione di tante ispezioni, Mazzarella, collega di concorso.

Anche qui dalla verifica risultarono alcune irregolarità e il gestore faceva il furbo, ma non sapeva che io ne sapevo più di lui. Ma la decisione finale spettava sempre all’Ente, al quale inviai la solita relazione.

Poi mi inviarono a Poggioreale, con mia grande soddisfazione perché mi sembrava un sogno entrare nel famoso carcere di Napoli. Era tutto a posto, la gestione era regolare e il gestore era serio e rispettoso.

Intanto al Collegio arbitrale di disciplina continuavo a fare sempre esperienze e un giorno mi toccò relazionare sul ricorso presentato dalla mia vecchia amica direttrice Ortenzio Emilia. Ovviamente feci il possibile per fargli annullare la sanzione che gli era stata applicata ingiustamente. E così fui contento quanto lei. Ma fu una esperienza non comune perché io e gli altri componenti la interrogavamo come fosse una imputata e a me veniva un pò da ridere (nascostamente) perché era una amica che frequentavo spesso quando la collega di Massa (Francesca) organizzava qualche cena insieme alla mia vecchia amica ex collega Tina. E vederla di fronte a me discolparsi delle accuse, fu una grande emozione.

Con i colleghi del collegio nacque una profonda amicizia, anche perché il nuovo presidente, dr. Pastena, era un ex dirigente generale del Dap, molto competente, arricchì le mie esperienze. E spesso completavamo la giornata a tavola tutti insieme, come si vede in questa foto:

Ma le mie continue gite a Roma presso il Collegio arbitrale di disciplina facevano irritare il direttore Verde, il quale come ho sempre detto, non accettava il fatto che io andavo sempre in giro.

E un giorno il segretario del Collegio mi disse che il mio Direttore aveva scritto per sapere quando finisse il mio mandato e se non fosse opportuno nominare un ragioniere di Roma al posto mio, per economia di spese. Mi disse il segretario che il Collegio, nella persona del Presidente, rispose elegantemente che il mandato non finiva mai e che ero indispensabile per il collegio. E i commenti: ma che Direttore hai ? ovvia la mia risposta, ma ebbi un’altra soddisfazione e il convincimento che a Lucca non ero considerato come lo ero al Ministero.

Nominato consulente dell’amministrazione nei ricorsi dei Direttori e l’addio del Direttore Verde

Intanto, continuarono le ispezioni negli spacci. Venni incaricato di andare a Taranto perché il gestore non versava gli utili, nonostante rendicontasse la gestione. Controllai tutto e niente di grave, il gestore mi presentò le ricevute dei versamenti degli utili e pensai subito ad un disguido da parte dell’Ente assistenza. Chiamai il collega Sergio Merrone dell’Ente, il quale mi assicurò che i versamenti non erano mai pervenuti.

Allora mi venne un dubbio, controllai bene le ricevute e vidi che i versamenti erano stati effettuati qualche giorno prima della mia ispezione. Assurdo. Qualcuno aveva avvisato il gestore dell’ispezione e questi andò subito a versare gli utili di tre anni, prima che arrivasse l’ispe-zione. Ma in precedenza i soldi dove erano ?

Il gestore mi disse che aveva anticipato alla Direzione i fondi per gli anticipi delle missioni. Ma mi assicurai presso i colleghi i quali mi dichiararono che gli anticipi ammontavano a qualche migliaio di euro. Gli utili non versati erano invece circa 20.000 euro. Era tutto chiaro. Richiamai il collega Sergio a Roma e anche lui sbalordito mi disse di scrivere tutto nella relazione. Così feci e la inviai all’Ente. Dopo non ho più saputo l’esito finale.

Successivamente mi chiamò sempre Sergio dall’Ente per incaricarmi della ennesima ispezione a Paola. Ma questa volta veniva anche lui per dare maggiore ufficialità all’ispezione. Per l’ennesima volta andai a Paola, un viaggio lunghissimo con il treno tutta la notte.

Il collega non fece altro che confermare quello che avevo già rilevato io nelle precedenti ispezioni e cioè che l‘ammanco era certo. Infatti, al denaro esistente in cassa all’inizio dell’anno aggiungemmo le entrate e detraemmo le spese e il risultato finale era superiore ai contanti che erano in cassa alla data dell’ispezione. Era ovvio l’ammanco, ma il gestore faceva finta di non sapere nulla, nonostante affermasse l’esistenza di una sola chiave in suo possesso. Relazionammo il tutto e dopo ho saputo che il gestore fu denunziato.

Alla fine dell’anno partecipai alla prima riunione presso l’ufficio del CTU nominato dal tribunale di Milano, in un ricorso di un direttore per il riconoscimento delle mansioni superiori. Dissi la mia interpetrazione in merito, ma non fui compreso. Il funzionario disse che doveva attenersi a quello che chiedeva il giudice e non potevamo andare oltre (io avevo eccepito che al Direttore sarebbe spettato il trattamento economico superiore di dirigente delle Forze di polizia e non di dirigente del comparto Ministeri)

Ma un grande avvenimento si verificava a Lucca. Dopo ben 14 anni il direttore Verde andò in pensione anticipata “Non ce la faccio più” diceva, era ovvio. Rompeva a tutti e veniva attaccato da tutti.

Al suo posto venne la Ortenzio, una mia vecchia amica da quando era educatrice.

A fine novembre organizzammo una grande festa di addio, alla quale partecipai anche io su consiglio del mio amico psicologo Vito Cornacchia, che mi spinse a partecipare ugualmente alla festa dimostrando signorilità. E così feci. La festa fu bella, parteciparono tante persone del carcere e alla fine i grandi saluti al direttore uscente.

Nel mese di dicembre furono effettuate le consegne tra il Direttore Verde e la direttrice Ortenzio e così finì la direzione di Verde durata ben 14 anni.

La nuova direttrice e il passaggio al decimo livello

Il nuovo anno cominciò con la nuova direzione della Direttrice, la quale era amica con me (ci conoscevamo da tanti anni, forse 30) e nel lavoro ero più tranquillo e non più ossessionato come in precedenza, perciò lavoravo con maggiore serenità.

Intanto, continuavano le mie consulenze tecniche nei ricorsi dei Direttori. Mi mandarono a Torino presso il CTU del tribunale e anche questi non mi capiva e fece dei prospetti di arretrati errati in quanto incluse anche delle indennità spettanti che invece erano state percepite.

A nulla valsero le mie spiegazioni. Il CTU conteggiò soltanto gli importi percepiti risultanti dalla busta paga del ricorrente, mentre non capiva che fuori busta il direttore ricorrente pagava a se stesso i compensi per lavoro straordinario e il fua. Lui non capiva come fosse possibile ciò affermando che nel lavoro privato un dipendente non si paga gli emolumenti. Capii che mi trovavo di fronte a un funzionario che non era in grado di comprendere in quanto esperto soltanto in diritto del lavoro privato.

Non ho mai saputo l’esito della sentenza del giudice, ma grazie a questi errori molti direttori ricorrenti percepivano somme ingenti di arretrati. Infatti, il giudice dava molto credito al perito nominato dal tribunale perché anch’egli non capiva che i dirigenti dell’amministrazione penitenziaria percepissero il trattamento economico delle forze di polizia, che a tanti era sconosciuto, anche ai periti. Era risaputo, infatti, che tutti i dirigenti percepissero il trattamento economico del personale del comparto ministero, assai più elevato. E mi chiedevo: ma sono ignoranti o fanno finta ? la legge meduri del 2005 è chiara, come mai non la capiscono ?

Il nodo della questione era quindi quale trattamento economico spettasse ai ricorrenti. Per me era chiaro: siccome la mansione superiore che svolgevano i direttori era quello di dirigente carcerario che veniva retribuito con il trattamento economico delle forze di polizia, ai ricorrenti doveva essere conteggiato tale trattamento. Invece i CTU, i consulenti nominati dal giudice, applicavano il trattamento economico dei dirigenti del comparto Ministeri, molto più elevato, perché nel Ministero della giustizia veniva applicato tale trattamento. Non sapevano che nell’amministrazione penitenziaria i dirigenti percepivano il trattamento delle forze di polizia, ai sensi dell’art. 40 della legge 395/90, tenuto in vigore fino al 2004 da una legge del 1997.

Unico CTU che mi capì fu quello di Firenze, mentre quello di Viterbo e di Salerno, ove andai personalmente nel loro ufficio, non tennero in considerazione le mie spiegazioni e i ricorrenti percepirono importi elevati. Un danno erariale ingente, ma che potevo fare ? Ai processi l’ammini-strazione era difesa da avvocati dell’Avvocatura distrettuale, che anch’essi poco capivano della questione.

Durante l’estate ero tanto preoccupato. Fu emanata una disposizione secondo cui chi raggiungeva l’anzianità di 40 anni poteva essere collocato a riposo. Io avevo già i 40 anni, ma dovevo andare in pensione dopo due anni e pensare che avrei dovuto lasciare l’amministrazione anzitempo mi gettò nella tristezza e malinconia.

Ma grazie al sindacato Sag mi rassicurai, perché mi spiegarono che l’organico era vacante di tanti posti e mai l’amministrazione avrebbe mandato via il personale.

Intanto erano stati banditi i corsi di riqualificazione del personale e io partecipai a quello per il passaggio al decimo livello. Non vi erano prove scritte e orali, né vi era la partecipazione al corso, ma veniva formato una graduatoria in base all’anzianità di servizio, ai titoli posseduti (anche le pubblicazioni) e io mi classificai al ventesimo posto ed entrai tra i vincitori. Quelli che mi precedevano nella graduatoria erano tutti colleghi laureati e per questo avevano un punteggio superiore al mio.

E così passai al livello superiore che era semplicemente un passaggio economico, mentre la qualifica era sempre la stessa (funzionario contabile).

Durante l’anno furono nominati i nuovi contabili laureati e io fui nominato referente regionale. Partecipai ad alcune riunioni a Firenze durante le quali dovevo dare consigli ai nuovi ragionieri. Fui chiamato anche alla scuola di Roma, ove il collega Boldrini, direttore del corso, mi presentò e disse ai giovani colleghi: ecco il mitico canoro in pelle e ossa, lo vedete ? E tutti a ridere e ringraziai tutti i presenti.

Ma un’altra tegola mi arrivò in testa, quella della direttrice Ortenzio che fece domanda di andare via perché scocciata dell’amministrazione. A nulla valsero i miei interventi a farla ritornare indietro e così a fine anno andò via e venne provvisoriamente il direttore di Massa, che aveva una cattiva fama. E mi venne in mente l’ispezione fatta a La Spezia, durante la quale accertati degli “orrori” nelle pratiche del fabbricato.

Meno male che si comportò bene, nel senso che non faceva nulla e non veniva quasi mai e così io fui tranquillo.

L’arrivo del nuovo direttore e la fine dell’incarico presso il Collegio arbitrale di disciplina

Per fortuna il direttore Iodice andò via presto e arrivò definitivamente il Direttore Ruello Francesco.

Il nuovo Direttore non era aperto, ma era una persona serissima e riservata e mi apprezzava. Era molto pignolo ma, al contrario della pignoleria dell’ex direttore Verde, che era pretestuosa, quella del nuovo Direttore si poteva accettare.

Molte volte io dovevo faticare per spiegare che in alcuni casi non occorreva una eccessiva pignoleria, ma era fatto così e tutto sommato si poteva accettare.

Ma verso la primavera cessò l’incarico presso il Collegio arbitrale di disciplina, durato dal 1996. Grazie a una legge del grande “Brunetta”, salvatore della patria, i Collegi dei Ministeri furono aboliti e la conseguenza grave fu che il dipendente sanzionato, nel caso volesse ricorrere avverso il provvedimento della sanzione, doveva adire il giudice del lavoro, con ovvio esborso di onorari per l’avvocato. Mentre il ricorso al Collegio era gratis. Giustizia era fatta !

Ma il motivo era quello di eliminare i Collegi, composti da sindacalisti bravi nell’annullare le sanzioni disciplinari, secondo le intenzioni del governo. Ma nella mia lunga esperienza avevo avuto occasione di riscontrare che tante sanzioni erano inflitte ingiustamente e infondate. Purtroppo il governo è sovrano e tutto finì e ciò che mi dispiacque era la fine delle mie rituali gite a Roma presso il Ministero.

Il presidente, dr. Pastena, ex direttore generale del Dipartimento mi congedò lasciandomi una presentazione per il mio testo del Funzionario delegato, nella quale racchiuse tutta la mia carriera e apprezzamenti per il mio lavoro. Ecco il testo:

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P R E S E N T A Z I O N E

Con il presente ponderoso, interessante, ampliato e aggiornato lavoro, ancora una volta in ristampa, l’autore si è proposto di rispondere alla pressante esigenza, soprattutto in materia di contabilità generale dello Stato e, in particolare, degli Istituti e Servizi penitenziari, di garantire una amministrazione sana, regolare, attenta, cauta, lontana da erronee impostazioni e da illeciti.

La voluminosa opera si propone come valido contributo alla conoscenza ragionata e all’ap-profondimento dei complessi meccanismi giuridico-amministrativi e contabili, non soltanto ad uso dei FUNZIONARI DELEGATI, ma anche degli altri funzionari amministrativo-contabili.

Conoscendo le precedenti edizioni, si può serenamente affermare che il Canoro, con riconosciuta perizia, ha trattato la materia, con assoluta chiarezza espositiva, nella sua interplementarietà e nei minimi dettagli, caratterizzata da una scrupolosa organicità ed attualità.

Il lavoro costituisce un felice avanzamento tecnico-teorico rispetto alle precedenti edizioni; e tanto, proprio nel momento in cui si è in piena fase evolutiva sia nel campo legislativo giuridico-economico che in quello derivante dalla dinamica elettronico-informatica.

Tutto è passato in scrupolosa rassegna e trattato rigorosamente, con esaurienti indirizzi e puntualizzazioni, con assoluta chiarezza e concretezza.

Del resto l’autore, ben noto e apprezzato funzionario, attento studioso e con un curriculum formativo ed operativo di tutto rispetto, non avrebbe potuto –ex parte exercitii – tralasciare alcunchè avendo alle spalle apprezzate pubblicazioni (notissimo il più volte ristampato e aggiornato “Manuale dell’operatore penitenziario”) ed una riconosciuta notevole esperienza (utilizzato più volte dall’Amministrazione di appartenenza, in compiti di collaborazione ispettiva, di docente in Scuole di formazione, di componente di organi collegiali ecc.), per cui, sine dubio, possiamo sostenere che, con gli arricchimenti della parte informativa, supportata da note legislative e giurisprudenziali, il Canoro è riuscito a presentare un lavoro che si distingue da consimili pubblicazioni, non soltanto per densità di contenuto, ma di lettura agevole e piacevole per chi si avvicina per la prima volta alla contabilità pubblica.

Ugo Pastena 1

Per immortalare la chiusura del collegio e la fine delle nostre riunioni scattammo una foto ricordo presso l’ufficio del Ministero dove ci eravamo riuniti per tanti anni:

1 Dirigente generale dell’amministrazione penitenziaria a r.




Al centro il Presidente, a fianco il grande amico Francesco Moscagiuri, ultimo a destra il segretario del collegio l’amico Carlo Zaupa.

Nel mese di settembre ebbi una consolazione da parte del Direttore. Avanzai la domanda per rimanere in servizio per altri due anni, come era previsto dalla legge e il Direttore accompagnò l’istanza con una sua nota, con la quale esprimeva ampio parere favorevole perché ero un funzionario meritevole.

Non me l’aspettavo, perché lui era un tipo chiuso e restio a fare apprezzamenti, quindi fu per me una grande soddisfazione.

Il 3 dicembre arrivò dal Dipartimento il provvedimento del trattenimento in servizio per altri due anni, ma il provvedimento stesso era soggetto al visto del Ministero del tesoro e ciò mi preoccupava. Ma il Direttore e i colleghi erano contenti della proroga concessa.

Il collocamento a riposo e la festa dell’addio

Ma le mie preoccupazioni erano fondate. Infatti, nel mese di febbraio andai al Dipartimento e mi diedero brutte notizie. Infatti, una legge finanziaria stabilì che i trattenimenti in servizio fossero equiparati a nuove assunzioni e quindi occorreva il relativo finanziamento.

Il finanziamento ovviamente era irrisorio e sarebbe stato assorbito per il trattenimento in servizio dei dirigenti.

Salutai i vecchi amici e colleghi del Dipartimento, tra cui la Stefania De paolis, la segretaria dell’Ente di assistenza che mi aveva dato tanto e con la quale avevo collaborato per tanti anni. Era in riunione e mi fece entrare. C’erano tanto colleghi e salutai tutti.

Lei uscì fuori della porta insieme a me e mi salutò tristemente dicendomi: ti ringrazio tanto per quello che hai fatto per tutti noiNon me l’aspettavo da una collega che anche si era mostrata sempre fredda verso di me, mi stimava e fu una magra consolazione per me.

Ritornai a Lucca triste e dopo un pò arrivò il provvedimento del collocamento a riposo definitivo.

Mi rimanevano pochi mesi di servizio e cercai di sistemare tutte le pratiche in sospeso in modo che il mio sostituto (il vecchio collega Avella) non avesse avuto difficoltà.

Nel frattempo continuavo a svolgere gli ultimi incarichi di consulente tecnico dell’ammini-strazione nei processi civili.

Ma un’altra tegola si abbattè su di me. Arrivò la determinazione dei canoni di affitto degli alloggi demaniali da parte dell’ufficio tecnico del Prap, il quale non conteggiò il coefficiente dello 0,50 previsto per gli alloggi che costituivano un unico fabbricato con il carcere. Quindi l’importo dei canoni era elevato.

Presentai subito ricorso, anche a nome degli altri occupanti degli alloggi, sostenendo la tesi che il regolamento prevedeva l’abbattimento del 50% per gli alloggi che erano sull’area di pertinenza del carcere e non nell’area di pertinenza, un gioco di parole che comportava il pagamento del canone doppio. Era una interpetrazione letterale che il Prap non comprendeva perché confondeva con “nell’area di pertinenza”, mentre il regolamento parlava di: sull’area di pertinenza. Infatti, gli alloggi erano attaccati all’edificio carcerario e costituivano un unico fabbricato. Quindi erano “sull’area di pertinenza” come prevedeva il regolamento. Ma al Prap non comprendevano, pensavano che gli alloggi dovessero essere ubicati all’interno dell’istituto, cioè “nell’area di pertinenza”, termine non usato nel regolamento degli alloggi.

Ma, come dirò dopo, con la venuta di un nuovo Provveditore, fu interpetrata la questione a mio favore e, come sempre, ebbi ragione con ritardo, una costante nella mia lunga carriera.

Nel frattempo, il collega Avella organizzò i preparativi della grande festa di addio, prevista per il 26 novembre, cinque giorni prima del mio collocamento a riposo.

Parteciparono quasi tutti i colleghi della Toscana, quasi tutti i miei Direttori del periodo di servizio prestato a Lucca, tutto il personale civile della Direzione, alcuni agenti che erano stati con me nell’ufficio ragioneria, ma anche la mia prima ragioniera del carcere di Pisa nel 1977, Scirè Vita, ormai vice prefetto di Massa, la quale durante la festa rievocò un nostro litigio divertente avvenuto nel 1978 e mi ringraziò per gli insegnamenti che gli diedi quando era di nuova nomina.

Numerosi furono i riconoscimenti scritti, tra i quali un grande manifesto con le firme dei miei colleghi e quasi tutti scrissero: grazie per l’aiuto che ci hai dato quando eravamo all’inizio della carriera. Mi commossi tanto davanti a tanti ringraziamenti per i miei consigli, insegnamenti, forniti quando loro erano all’inizio della carriera.

Una festa bellissima, durante la quale nascondevo la mia tristezza di lasciare dopo 42 anni di servizio una amministrazione per la quale avevo dato tutto di me, trascurando a volte anche la famiglia.

Di seguito riporto una delle tante foto scattate durante la festa di addio

Ma capii che tutto finisce nella vita e che ciò che rimane è la soddisfazione di aver dato tutto e di essere ricordato da tutti.

Ma dopo anni di soddisfazioni, riconoscimenti, encomi ed altro, mi arrivò il ringraziamento scritto da parte del Dipartimento, per la mia professionalità e per il contributo dato all’amministrazione con le mie numerose pubblicazioni.

Un riconoscimento inaspettato perché raramente l’amministrazione centrale elargiva ringraziamenti ai dipendenti. La mia gioia fu grande perché i ringraziamenti del Dap erano il riconoscimento della mia dedizione all’amministrazione per tanti anni.

Ma al riconoscimento del Dipartimento si aggiunse anche quello del Provveditorato di Firenze, anch’esso inaspettato e, a maggior ragione, scritto dal quel dirigente che mi fece revocare, anni addietro, la missione a Gorgona.

Insomma, potevo ritenermi soddisfatto e dal primo dicembre: pensionato.

Ma non mollai del tutto i contatti con il carcere. Avevo vissuto una lunga carriera e perciò quasi giornalmente mi recavo negli uffici, nella sala convegno per continuare ad avere quei contatti che mi attenuavano il distacco dall’amministrazione.

A Natale il Direttore mi invitò a partecipare alla messa che veniva celebrata ogni anno nella chiesa del carcere, alla quale partecipavano i detenuti e il personale di polizia penitenziaria.

Il Direttore sapeva che io ogni anno per tradizione partecipavo alla messa di Natale celebrata dal vescovo e perciò mi invitò e mi fece entrare nell’istituto.

Ero fresco pensionato, ma vivevo ancora la vita carceraria.




Ecco la foto del mio ufficio

L’alloggio demaniale e una questione sindacale assurda

Nel mese di gennaio il Direttore dovette informare l’organo superiore che io ero andato in pensione e quindi rimaneva in attesa del provvedimento del rilascio dell’alloggio demaniale.

Io aspettavo che questo provvedimento arrivasse, ma passarono mesi e alla fine dell’anno nessun provvedimento arrivò.

Non ho mai saputo mai il motivo del ritardo, ma lo considerai come un altro riconoscimento dell’amministrazione verso di me.

Pertanto, abitando ancora nell’alloggio demaniale frequentavo sempre l’ambiente carcerario, spesso continuavo ad andare in ufficio dai miei colleghi, dai miei ex collaboratori e spesso venivo chiamato per fornire chiarimenti su pratiche dei miei tempi e per fornire suggerimenti e consigli, che erano sempre apprezzati. Anzi il Direttore mi chiamava: la memoria storica del carcere.

E in un episodio fui chiamato in prima persona in quanto un sindacato pubblicò una falsa notizia su un quotidiano locale: al carcere non vi sono soldi e hanno ristrutturato un tetto di un fabbricato abbandonato da anni ! Mi chiamò il Direttore chiedendomi dove fosse la pratica della ristrutturazione dei tetti della ex ottava sezione abbandonata dal 1960 ! Non lo sapevo, non potevo saperlo perché si trattava di una pratica vecchia di vent’anni, ormai archiviata non si sapeva dove.

E il Direttore cercava di dare una risposta al sindacato, facendo osservare che i lavori non erano stati fatti ora ma vent’anni prima !

Ma sorprendentemente e fortunatamente arrivò una ispezione dal Provveditorato di Firenze, capeggiata dal Direttore Cerri che, una coincidenza impensata, era il direttore all’epoca dei lavori ! Glielo ricordai subito e lui stupito si ricordò che in quei tempi vi fu un pericolo di caduta dei tetti e perciò fu effettuata con urgenza la relativa ristrutturazione della copertura, anche se il fabbricato era disabitato.

Ma allora il sindacato perché fece queste accuse ingiuste senza informarsi bene ? tutti ci domandammo.

Beh questo episodio confermò il mio concetto sui rappresentanti sindacali, che in questa sede non descrivo.

Intanto continuavo ad aggiornare i miei testi e a seguito della pubblicazione di testi aggiornati il sindacato del sappe pubblicò sulla propria rivista una recensione con un inizio roboante

Il rilascio dell’alloggio demaniale e il ritorno in sardegna

Ma inevitabilmente a gennaio arrivò la comunicazione che dovevo lasciare l’alloggio demaniale. Avevo due mesi di tempo e prontamente richiesi una proroga per motivi familiari.

Inaspettatamente mi fu concessa e così dovetti lasciare l’alloggio demaniale a maggio, dopo un anno e mezzo dal pensionamento. Non potevo lamentarmi, di più non potevo stare.

Ma finalmente arrivò la comunicazione dal Prap di Firenze che accoglieva il mio ricorso avverso la determinazione dei canoni e quindi gli stessi furono ridotti alla metà. Fu una vittoria personale e come sempre: il tempo mi dava ragione con ritardo !

Poi arrivò il mese di maggio e incominciai a traslocare e il 4 giugno firmai il verbale del rilascio dell’alloggio ove avevo vissuto per 38 anni !, dove erano nati due miei figli.

Infatti, nel lontano febbraio 1975 occupai per la prima volta l’alloggio, il mio primo figlio aveva 3 anni e mezzo

E così ritornai in sardegna, nella casa di mia moglie, dove andai per la prima volta nel lontano 1969 per iniziare la mia carriera a Mamone.

Intanto fui chiamato dal mio amico collega Cantone da Massa per aiutarlo al processo a suo carico. Aveva tante imputazioni, di cui tante assurde sempre per il solito problema: accuse per il ragioniere di cose di competenza del Direttore. E al processo alle domande del giudice chiarii sempre le solite cose: il ragioniere è un collaboratore del Direttore ed è questi che firma i contratti e paga le spese. Tante accuse erano per falsi e irregolarità che dovevano essere poste a carico del Direttore e non del ragioniere.

Infatti, una lettera contratto recava la data di stipula che non corrispondeva all’ingresso dell’impresa negli uffici della Direzione e sia il ragioniere che il Direttore furono accusati di falso. Ma il nome del ragioniere non figurava nella lettera contratto, ne la sua firma e allora cosa c’entrava ? Probabilmente perché l’aveva compilata lui ma era una assurdità, il responsabile è chi firma l’atto non chi lo prepara.

Purtroppo fu condannato ugualmente ma anche per altri fatti.

La questione della prescrizione dei canoni degli alloggi demaniali

Durante l’inverno io abitavo a Lucca e spesso andavo in ufficio, anche perché frequenti erano le richieste di presentare le ricevute dei canoni di affitto dell’alloggio demaniale, anche di oltre 10 anni !

Purtroppo risultò che molti agenti che occupavano gli alloggi non pagavano da tanto tempo il canone e ciò fu una mia noncuranza dovuta alla mancanza di direttive in merito. Infatti, la Direzione non era tenuta a farsi presentare le ricevute dagli occupanti degli alloggi essendo competente l’agenzia del demanio. Da decenni era così, anche perché è l’occupante dell’alloggio che doveva presentare le ricevute all’agenzia del demanio.

Ma arrivò una disposizione dal Prap che imponeva l’obbligo di consegnare le ricevute anche alla Direzione e così il Direttore chiese tutte le ricevute anche di anni indietro.

Nel mio caso mi chiese le ricevute dal lontano 79. Assurdo ! come potevo tenerle dopo 35 anni ? Mi fecero fare una autodichiarazione con la quale precisai che mi era impossibile fornire tutte le ricevute e presentai quelle degli ultimi 10 anni.

Ma trovai una sentenza della Cassazione che prescriveva la “prescrizione quinquennale” e così la presentati in Direzione e il Direttore scrisse al Prap di Firenze per avere una conferma. Ma la risposta non arrivava mai.

Finalmente dopo tanto tempo il Dipartimento si espresse in mio favore e cioè che si applicava la prescrizione quinquennale per i canoni demaniali e quindi un’altra soddisfazione per me. Gli altri occupanti degli alloggi mi ringraziarono perché grazie a me pagarono i canoni soltanto per gli ultimi cinque anni.

Ma fu risollevato un’altra volta la questione della determinazione del canone degli alloggi demaniali. Infatti, arrivò al Prap una nota da Roma, con la quale il Dap informò che l’agenzia del demanio si era espresso nel senso che l’applicazione del 50% si applicasse soltanto nel caso in cui gli alloggi costituissero una unica particella catastale con il fabbricato del carcere.

Assurdo, il regolamento degli alloggi era stato stravolto, perché esso non prevedeva questa condizione, ma soltanto quella che gli alloggi si trovassero “sull’area di pertinenza” del carcere.

Dovetti intervenire e con la Direzione consultammo i documenti catastali e per fortuna il Direttore accertò che gli alloggi costituivano una unica particella catastale. Inviò tutto al Prap e io mi misi in contatto con il funzionario incaricato, che conoscevo da tempo. E anche lui si convinse dopo avermi interpellato e così gli importi rimasero inalterati, cioè ridotti al 50%.

Ciò evitò di pagare eventuali canoni in più, anzi risultò un mio credito verso il Demanio e il Direttore comunicò all’agenzia di Direzione l’importo che mi doveva essere rimborsato.

Tutto finì bene e così terminò favorevolmente l’annosa questione dei canoni.

Come si può notare, anche da pensionato frequentavo l’ambiente carcerario, sia per una cosa che per altro, e poi tanti colleghi continuavano a chiedermi pareri, consigli ecc. e continuavo sempre ad aggiornare i miei libri che mi erano sempre richiesti.

Insomma, 42 anni di servizio carcerario vissuti diversamente dagli altri colleghi, i quali, terminato il turno di servizio ritornavano a casa lontano dal carcere. Io invece abitavo a fianco al carcere (confinavo con il mio ufficio !) e quindi ero sempre a contatto con l’ambiente carcerario e per tale motivo il titolo di questa mia storia: una vita vissuta per il carcere.

Gli incarichi di docente dei corsi

La mia attività editoriale continuava perché continue erano le richieste dei miei testi, anzi quando nel 2018 fu pubblicato dopo tanto tempo il concorso di funzionario contabile, mi arrivavano mensilmente decine di richieste da parte dei candidati, molti dei quali mi consultavano via email e strinsi amicizia con tanti di loro, amicizia che dura tuttora. E non posso non ricordare una collega che arrivò a giurarmi……..perennemente riconoscente.

Ma anche i candidati del concorso di dirigente penitenziario (direttore d’istituto) mi contattavano per il mio testo e, anzi, organizzarono delle riunioni su teams per delle lezioni online di contabilità penitenziaria e molti invece preferirono lezioni individuali e anche qui ho stretto amicizia con alcuni/e, amicizia che dura tuttora.

Corso di formazione funzionari contabili

Come ho detto in precedenza nel novembre 2019 furono assunti circa 180 funzionari contabili, di cui gran parte avevo seguito durante il concorso, ma una altra grande soddisfazione mi aspettava. Infatti quando questi funzionari hanno partecipato al corso di formazione organizzato dalla Scuola di esecuzione penale di Roma, ebbero ciascuno il mio CD contenente il Manuale, il regolamento contabile e il mansionario.

Una iniziativa senza precedenti perchè mai era stato distribuito un testo di contabilità in un corso di formazione e questa iniziativa è stata per me un riconoscimento da parte dell’amministrazione per la dedizione e la assiduità avuta anche quando ero in pensione.

Partecipai a fine 2020 a una riunione del corso dei funzionari contabili alla Scuola di Roma e alla sera organizzarono una cena, di cui pubblico la foto. Ciò dimostrava la riconoscenza che molti avevano verso di me per gli aiuti, consigli e chiarimenti davo loro. Io sono in fondo a fianco del grande amico collega Roberto Martinelli, sindacalista del sagunsa.




Nel 2021 fui chiamato al corso dei contabili della giustizia minorile per una lezione di contabilità penitenziaria. Dopo tanti anni finalmente partecipai come docente a un corso di formazione.

Successivamente fu pubblicato anche il concorso per contabile e per funzionario contabile per gli istituti per adulti e anche qui molti candidati mi chiedevano il testo, chiarimenti, suggerimenti e lezioni online.

Nel mese di ottobre 2022 fui chiamato per due lezioni al corso dei contabili sul tema: i compiti del contabile nei vari servizi contabili degli istituti penitenziari. Furono due giorni di lezioni durante le quali spiegai tutti i compiti dei contabili nelle varie gestioni degli istituti penitenziari, accennando ai vari problemi critici difficilmente risolvibili e tanti segreti contabili. Alla fine ricevetti anche gli applausi e alcuni vollero fotografarsi con me.




Una bella esperienza che premiava il mio lavoro continuo e assiduo per tenere sempre aggiornati i miei testi.

Gerardo Canoro